Dalla fine dell’estate la sterlina ha perso terreno sull’euro; una tendenza che, visti gli attuali problemi dei settori finanziario e immobiliare nel Regno Unito, sembra destinata a durare. A più lungo termine però la Borsa di Londra resta una diversificazione interessante per i vostri portafogli.
Un’inevitabile correzione dell’immobiliare
· Da quasi due decenni l’economia britannica è una delle più dinamiche d’Europa e – grazie soprattutto al settore dei servizi – dall’inizio degli anni ’90 ha messo a segno una crescita media annua di ben il 2,5%. La riuscita transizione da un’economia industriale a una basata sui servizi – e in particolare su quelli della City di Londra che attira investitori e capitali da tutto il mondo – è ritenuta in genere la chiave del successo della Gran Bretagna.
· Ma anche il settore immobiliare ha contributo in modo determinate alla prosperità inglese; basti pensare che nel Regno Unito in un decennio i prezzi degli immobili residenziali sono triplicati. Il continuo arrivo di immigrati ha fatto infatti lievitare la domanda di case, mentre l’offerta è rimasta limitata, anche a causa degli ostacoli da superare per ottenere i permessi di costruzione. In Gran Bretagna non c’è stato infatti un boom delle costruzioni come in Spagna o negli Stati Uniti.
· Inoltre, grazie alla scarsa disoccupazione, i salari reali (ossia al netto dell’inflazione) sono aumentati considerevolmente, mentre i prezzi al consumo sono cresciuti in modo più limitato, consentendo alle autorità monetarie britanniche di mantenere a lungo il costo del denaro a dei livelli bassi. Tutti fattori senz’altro alla base dell’impennata del mercato immobiliare britannico che, secondo il Fondo monetario internazionale (Fmi), sarebbe attualmente sopravvalutato di quasi il 30% e che quindi, prima o poi, dovrebbe subire una correzione.
· La correzione potrebbe essere innescata dagli effetti della crisi del settore finanziario. Anche se da dicembre a oggi la Banca d’Inghilterra ha ribassato per ben tre volte i tassi ufficiali, non solo gli interessi sui prestiti ipotecari non sono scesi (le banche inglesi approfittano della riduzione del costo del denaro per risanare i propri conti), ma l’accesso al credito è diventato più difficile (non vengono, ad esempio, più concessi mutui per finanziare al 100% l’acquisto di una casa); il che ovviamente ciò non fa che accentuare il rallentamento del mercato immobiliare.
Il rallentamento del settore finanziario
· La crisi finanziaria ha, secondo noi, un duplice impatto negativo sull’economia britannica. Innanzitutto, il rallentamento dell’attività nella City di Londra (che secondo alcune fonti rappresenterebbe quasi il 10% dell’economia britannica) frena inevitabilmente la crescita. Non solo le remunerazioni del settore finanziario (quadruplicate dal 2001) rendono, infatti, Londra una delle aree più ricche d’Europa, ma i servizi finanziari hanno un’importanza capitale anche per tutta l’economia del Paese perché concorrono a mantenere in equilibrio la sua bilancia commerciale (che misura il rapporto tra le importazioni e le esportazioni di beni e di servizi), che è in deficit a livello dei beni. Senza contare che le imposte sugli utili delle società finanziarie rappresentano una fonte di entrate fiscali molto importanti per lo stato britannico. È, quindi, ovvio che qualsiasi crisi del settore finanziario finisca per avere delle dirette ripercussioni sulle economia britannica.
· Ma anche gli effetti indiretti non sono trascurabili. Le condizioni sempre più restrittive per l’accesso al credito finiscono infatti per rallentare l’attività anche in settori non direttamente legati al mercato immobiliare. Finora infatti, le famiglie inglesi, come quelle americane, approfittando dell’aumento di valore delle loro case, non hanno esitato a ipotecarle per finanziare i loro consumi, che hanno raggiunto così livelli insostenibili a lungo termine. Ora che i prezzi degli immobili cominciano a invertire la tendenza (-2,5% a marzo) si annuncia un calo anche dei consumi.
La sterlina sotto pressione
· Anche nel 2005 l’economia e il mercato immobiliare avevano lanciato dei segnali di debolezza in Gran Bretagna, ma allora il calo dei tassi ufficiali e il forte aumento delle spese pubbliche erano bastati a riportarli in forma.
· Oggi però le autorità britanniche hanno un margine di manovra più limitato. In seguito all’aumento del 29% delle spese pubbliche tra il 2003 e il 2007, i conti pubblici sono andati in rosso, con un deficit (le uscite statali che superano le entrate) stimato al 3% del Pil (Prodotto Interno Lordo; tutta la ricchezza prodotta nel Paese) nel 2007. Sembra, quindi, poco probabile quindi che il Governo possa ricorrere anche questa volta a incentivi fiscali per rilanciare i consumi.
· Certo con tassi ufficiali ancora al 5%, la Banca d’Inghilterra sembrebbe avere un margine di manovra più ampio. Tuttavia, vista la minaccia dell’inflazione, una lunga serie di riduzioni dei tassi finirebbe per mettere ancora di più a rischio la sterlina, e non solo nei confronti dell’euro, ma anche del biglietto verde. In definitiva, quindi, anche il margine di manovra delle autorità monetarie britanniche è limitato.
Una diversificazione interessante nel medio lungo termine
· A breve termine l’economia britannica rischia un periodo difficile, con dei tassi di crescita inferiori a quelli degli ultimi anni che si dovrebbero attestare, secondo le nostre stime, all’1,8% nel 2008 e al 2% nel 2009. I rischi associati ad un peggioramento della congiuntura, che peserebbe inevitabilmente sulla sterlina, restano secondo noi elevati.
· A medio e lungo termine, tuttavia, i titoli in sterline restano secondo noi una diversificazione interessante. L’economia britannica è infatti una delle più competitive al mondo e grazie anche ad una demografia favorevole e un mercato del lavoro molto flessibile dovrebbe riuscire a rialzare la testa prima delle altre. In particolare, tenendo conto che la sterlina è sottovalutata e che la Borsa di Londra è conveniente, riteniamo che le azioni britanniche possano senz’altro rientrare nella composizione dei vostri portafogli (per i dettagli vedi Investire dove, come, e quanto ).