IN EUROPA
In Europa la fiducia dei consumatori si affievolisce. I prezzi britannici salgono, ma sono “dopati” dall’Iva.
Complice il “caso” Grecia, la fiducia dei consumatori europei vacilla: l’indice calcolato dalla Commissione Ue scende da -15,8 a -17,8, è il primo calo dopo dieci mesi di miglioramenti. Un po’ più tiepido anche l’ottimismo degli esperti economici tedeschi, le cui opinioni sono riassunte dall’indice Zew: la quota di chi si aspetta progressi per l’economia tedesca resta maggioritaria, ma cala dal 57% al 53,8% portando a una contrazione dell’indice Zew da 47,2 a 45,1 (comunque meglio del 41,3 preventivato dal mercato). Ci si può consolare con le buone notizie sul fronte del commercio: il saldo import-export dell’eurozona a dicembre è positivo per 4,4 miliardi, era -1,8 miliardi un anno fa. Peggiora invece il saldo import-export dell’Italia nei confronti degli altri Paesi Ue: da -350 a -1.396 milioni di euro (ma i volumi di scambio stanno migliorando). In Gran Bretagna, i prezzi al consumo corrono più del previsto: l’inflazione sale al 3,5% a gennaio, contro il 2,9% di dicembre e il 3,1% delle attese. Ma non è un’economia particolarmente vivace a stimolare i prezzi: anzi, le vendite al dettaglio crescono solo dello 0,9% annuo (+1,1% le attese) e la disoccupazione è ferma al 7,8% (in linea con le aspettative) ma con un calo del numero complessivo di occupati. Ma allora cosa ha spinto i prezzi? Soprattutto effetti fiscali: l’elemento predominante è il rialzo dal 15% al 17,5% dell’aliquota standard sull’Iva.
NEL MONDO
Prezzi al consumo in calo a sorpresa negli Usa, ma salgono quelli alla produzione. Bene il Pil nipponico.
Frena l’inflazione Usa: 2,6% a gennaio, era 2,7% a dicembre (il mercato si aspettava rimanesse su questo livello). Rallenta più del previsto anche l’inflazione “di base” (esclusi alimentari e energia), il che sembra scongiurare il pericolo carovita. Ma a smentire questo scenario sono arrivati i prezzi alla produzione, che con un +4,6% annuo, superiore al +4,4% previsto, non permettono di abbassare la guardia e sembrano dar ragione alla Fed che comincia a cambiare rotta. Il mercato del lavoro continua a dare preoccupazioni (le richieste di sussidio salgono da 442.000 a 473.000, attese 449.000), ma la produzione industriale riparte a ritmi lievemente più vivaci del previsto, +0,9% mensile a gennaio contro +0,7% atteso (in linea con le aspettative l’utilizzo della capacità produttiva, salito dal 71,9% al 72,6%). Gli indici che monitorano il settore manifatturiero Usa segnano il bel tempo: l’indice Fed di Philadelphia sale da 15,2 a 17,6 (attese 16,9), l’Empire Manufacturing passa da 15,9 a 24,9 (attese 18). Solo il “superindice”, che raccoglie 10 indicatori economici, fatica a tenere il ritmo: +0,3% a gennaio, contro il +0,5% dei pronostici. In Giappone, il Pil (la ricchezza prodotta) sale dell’1,1% nel 4° trimestre: non una crescita da record, ma comunque meglio del +0,9% previsto. Sorprese negative, invece, dalla produzione industriale di dicembre, rivista al ribasso: +1,9% mensile e non +2,2% come nei dati preliminari.