Quest’anno sarà l'ultimo anno in cui si potrà sfruttare quota 100 per andare in pensione anticipata. Durante questo 2021 il Governo sarà impegnato a trovare un suo sostituto – con tutta probabilità questa nuova forma di pensione anticipata arriverà con la finanziaria di quest’anno – ma già circolano idee sulla nuova formula. C’è chi parla di una riedizione di quota 100 ma aumentata nei requisiti minimi, per esempio “quota 102” (servirà avere minimo 64 anni di età e 38 di contributi) oppure c’è chi parla di imporre un numero fisso di anni di contribuzione – ad esempio 41 – raggiunti i quali si potrà accedere alla pensione. Altra possibilità di cui si parla è quella di imporre una penalizzazione diretta sull’assegno pensionistico per ogni anno di uscita anticipata… Comunque la si metta, andare in pensione prima del tempo avrà un impatto sull’assegno pensionistico: sarà più basso e questo indipendentemente da quale sarà la formula che verrà decisa. Di quanto? Come si è visto con le regole di quota 100, nella peggiore delle ipotesi il taglio arriva anche al 30%.
Tuttavia, anche chi aspetterà l’età della pensione di vecchiaia, che nel 2021 si raggiunge a 67 anni con almeno 20 anni di contributi – vale per tutti, uomini, donne, dipendenti e autonomi – la pensione sarà bassa e, come puoi vedere dalla tabella qui sotto, questo non vale solo per quelle dei più giovani, ma anche per chi già oggi lavora da diversi anni. La prospettiva è chiara: una volta smesso di lavorare, ogni mese si avrà molto meno di quando si lavorava e si percepiva lo stipendio.
E con il tempo le cose andranno anche peggio. Infatti, il rischio è che lo Stato, per aggiustare i conti pubblici, sia costretto a mettere mano ancora una volta alle pensioni – e non a quelle molto alte, le cosiddette “pensioni d’oro”, ma anche a quelle più basse. Ma anche se questo non avverrà, ci sono comunque già degli aggiustamenti automatici che in futuro ridurranno l’ammontare delle pensioni. Infatti, ogni due anni devono essere rivisti i coefficienti di trasformazione con cui sono calcolate le pensioni. Cosa sono? Ogni anno versi i contributi e questi di anno in anno si rivalutano al tasso medio quinquennale del Pil italiano. La somma di quanto hai versato e della sua rivalutazione rappresenta il tuo montante pensionistico. Questo montante, al momento della pensione, viene moltiplicato per il coefficiente di trasformazione (che dipende dall’età), che altro non è che una percentuale che trasforma quanto hai accumulato nella tua pensione lorda annua. Per esempio: il tuo montante è di 700.000 euro, a 67 il coefficiente è di 5,575%. La tua pensione lorda annua sarà di 39.025 euro (700.000 X 5,575%). Più è basso, dunque, a parità di montante pensionistico, più bassa sarà la tua pensione.
Dallo scorso 1° gennaio è, per esempio, scattato un nuovo adeguamento, che li ha rivisti al ribasso: per esempio, chi va oggi in pensione a 67 anni, per ogni 1.000 euro di montante contributivo accumulato durante la vita lavorativa riceverà 55,75 euro lordi annui di pensione, mentre prima ne aveva 56,04 euro. Insomma, su una pensione netta mensile di 2.000 euro sono 5 euro in meno: poco, ma sempre un taglio è. Se ogni due anni dovesse esserci una revisione del genere, le pensioni future saranno sempre più basse. Se dai uno sguardo alla tabella qui sopra, puoi vedere l’evoluzione di questi coefficienti: per un 67enne dal 2009 ad oggi si è passati dal 6,136% al 5,575% (cioè da 61,36 euro ogni 1.000 di montante contribuivo a 55,75 euro). Tradotto, si è scesi da una pensione netta mensile di 2.100 euro ad una di 2.000 euro!
COME INTEGRARE LA PENSIONE PUBBLICA
Non disperare. Hai comunque la possibilità di rimediare a questa situazione. Come? Primo: devi iniziare a risparmiare fin da subito e prima inizi meglio è. Secondo: devi scegliere il prodotto giusto con cui accantonare i soldi che ti serviranno in pensione. Quali sono questi prodotti? I fondi pensione. Hanno una serie di vantaggi che li rendono, rispetto a quanto offerto sul mercato, i migliori per farsi la pensione “integrativa”.
Primo vantaggio (non garantito): rendimenti più alti del Tfr
I fondi pensione offrono rendimenti che superano quelli del Tfr (i soldi lasciati in azienda per la liquidazione). Dal 2008 a oggi i fondi chiusi hanno reso il 3% medio annuo, quelli aperti il 2,7%, mentre il Tfr l’1,9%. In media, dunque, i fondi hanno reso fino all’1% in più del Tfr ogni anno: in soldoni, significa avere un “tesoretto” pensionistico più alto. Quanto? Per esempio, chi ha investito nel 2008 in un fondo aperto, versando di anno in anno 1.000 euro, si ritrova oggi 15.967 euro; chi ha aderito a un fondo chiuso 16.143 euro. Rispettivamente si tratta del 9,2% e del 10,5% in più di chi ha scelto di lasciare il Tfr in azienda (che si ritrova oggi in tasca 14.615 euro). I fondi chiusi sono dunque quelli che hanno reso più di tutti, ma in realtà un lavoratore dipendente ha avuto ancora più soldi. Infatti, se versi al fondo di categoria (il fondo chiuso) il Tfr, aggiungendo un tuo contributo – in media è l’1% del tuo stipendio lordo annuo – anche la tua azienda versa un contributo per te (è un altro 1%, in media). Questi soldi che versa l’azienda incrementano il tuo “tesoretto” pensionistico e, quindi, di fatto aumentano la tua pensione integrativa. Tornando all’esempio precedente, se oltre a versare 1.000 euro di Tfr nel 2008 nel tuo fondo chiuso consideriamo il contributo del datore di lavoro (un 1% dello stipendio), in realtà ti ritrovi 18.483 euro: il 26,5% in più rispetto a lasciare i soldi in azienda (il Tfr).
Secondo vantaggio: paghi meno tasse
Con i fondi pensione puoi anche pagare meno tasse: i contributi versati nel fondo (qualsiasi fondo) sono, infatti, deducibili per un importo massimo annuo di 5.164,57 euro (si tiene conto dei tuoi versamenti più quelli del datore di lavoro, non il Tfr). Abbattono il reddito imponibile e, quindi, le tasse che paghi anno dopo anno. È un risparmio non da poco. Se versi il massimo deducibile di 5.164,57 euro e hai 70.000 euro di stipendio lordo, risparmi ben 2.117 euro di tasse ogni anno, pari al 41% di quanto versato. Anche se, però, versi solo 100 euro e hai uno stipendio di 20.000 euro, il risparmio è comunque del 27% (versando 100 euro, ne risparmi 27 in tasse).
Anche al momento della pensione avrai una tassazione privilegiata. Sui versamenti per i quali hai goduto della deducibilità pagherai un’aliquota compresa tra il 9% e il 15%, più bassa rispetto a quella con cui viene tassata la liquidazione lasciata in azienda, che nel migliore dei casi è del 23%. Inoltre, anche i rendimenti realizzati dalla gestione del fondo hanno una tassazione agevolata, visto che l’aliquota è del 12,5% per gli investimenti fatti in titoli di Stato, ma solo del 20%, anziché del 26%, per quelli in bond societari e in azioni. Infine, sui fondi pensione non paghi il bollo di legge che c’è su gli altri investimenti: è un altro 0,2% che risparmi ogni anno.
Vuoi approfondire come vieni tassato? Ti servono degli esempi per capire su come si arriva a calcolare al netto, quanto avrai dal fondo pensione (sotto forma di capitale o rendita)? Leggi qui: www.altroconsumo.it/finanza/risparmiare/fondi-pensione/analisi/2020/11/come-funziona-la-tassazione-dei-fondi-pensione.
Terzo vantaggio: poca fatica e costi bassi
Aderendo a un fondo pensione, tu devi fare molto poco. Se sei un dipendente ci pensa l’azienda a prelevare i soldi dallo stipendio e ti ritrovi in automatico i risparmi fiscali. Se aderisci a un fondo aperto devi solo ricordarti di fare tu il versamento periodico – ma puoi impostare con la banca il pagamento automatico del bonifico e non pensarci più. Inoltre, i versamenti nel fondo aperto ti compaiono nel 730 precompilato. Infine, ci pensa il fondo a investire i tuoi versamenti: non devi preoccuparti di studiare dove mettere i tuoi soldi ogni mese. E tutti questi vantaggi e facilitazioni hanno costi di gestione contenuti. Nella tabella atrovi tutti i costi (non solo di gestione) di fondi aperti, chiusi e piani individuali pensionistici (Pip). Vedi subito che i fondi (soprattutto i chiusi) costano di meno rispetto ai Pip: per esempio, se aderisci per 10 anni a un fondo chiuso hai un costo annuo medio dello 0,4%, se aderisci a un Pip, il costo medio annuo sale al 2,2%. Addirittura, dopo 35 anni di adesione, il Pip meno costoso in assoluto è comunque solo di poco più conveniente del fondo chiuso più costoso (0,4% contro 0,5%). Tutto questo ha un risvolto pratico e molto importante: più gli strumenti costano, come i Pip, più bassa sarà la tua pensione integrativa.
TIRANDO LE SOMME: ECCO IL RISULTATO!
Abbiamo cercato di riassumere e rendere evidenti tutti i vantaggi di cui ti abbiamo parlato. Dai uno sguardo all’immagine che trovi qui dove abbiamo riportato il rendimento del Tfr (ottenuto, quindi, da chi ha lasciato i soldi in azienda) e quello ottenuto da un dipendente che ha aderito al proprio fondo di categoria, dedicandovi il suo Tfr, versando il contributo a suo carico e ricevendo di conseguenza il contributo dell’azienda. Ma non solo. Abbiamo tenuto conto anche della deducibilità fiscale dei versamenti fatti e della tassazione agevolata dei rendimenti. E a proposito di rendimenti, sono quelli veri: si riferiscono ai 4 comparti di fondi pensione più anziani (Cometa Reddito, Fonchim Stabilità, Previambiente Bilanciato e Fondenergia Bilanciato). Come vedi il risultato è che il lavoratore ha oggi un tesoretto più alto con la scelta di sottoscrivere il fondo pensione, rispetto alla scelta di lasciare il Tfr in azienda. E senza grandi turbamenti. Guarda la linea che rappresenta la posizione del lavoratore nel fondo: è “lineare”, come quella del Tfr anche se l’andamento della quota del fondo di per sé conosce ripetuti saliscendi. È dovuto a come investe il fondo. Ogni mese viene investito quanto versato (Tfr, contributo tuo e del datore di lavoro) e questo significa che il mese in cui la quota del fondo è più bassa, perché i mercati sono scesi, il fondo acquisterà per te più quote, mentre quando i mercati salgono, le quote acquistate saranno meno. Questo modo di investire smussa gli alti e bassi del mercato e rende più lineare, dunque più tranquillo e meno rischioso, l’andamento del tuo investimento, rendendolo simile, ma più profittevole, a quello del Tfr. Lo vedi bene negli anni di grandi crisi, 2001 e 2008: la quota del fondo di per sé ha perso terreno e ha impiegato anni per tornare ai livelli pre-crisi, ma la tua posizione complessiva nel fondo ha impiegato meno tempo per tornare in attivo – oltre a perdere molto meno nei periodi di ribasso dei mercati. E questo vale per tutti e quattro i comparti più anziani, ma allo stesso risultato si arriva anche se si usano i comparti degli altri fondi pensione.
E non è tutto. Come visto il tesoretto accumulato nel fondo è superiore a quello del Tfr, ma l’extra-guadagno non si ferma qua. Infatti, una volta in pensione, quanto liquidato dall’azienda ti verrà tassato, così come quanto hai messo nel fondo. La tassazione è però più bassa per i fondi pensione (tra il 9% e il 5% contro quella del Tfr compresa tra il 23% e il 43%) e questo fa sì che la differenza tra quanto avrai con il fondo e quanto avrai con la liquidazione dell’azienda diventa anche più ampia. In tabella trovi una serie di esempi e, come vedi, alla fine, il netto che ti ritrovi in tasca è ancora maggiore con i fondi e sono tutti soldi in più che avrai a disposizione una volta in pensione. Dunque, aderire al fondo pensione conviene. E di molto.
QUANDO VADO IN PENSIONE?
Fino al 2022 compreso, si andrà in pensione a 67 anni con 20 anni di contributi. Se si è nel sistema contributivo, oltre ai 67 anni di età e ai 20 di contribuzione è necessario anche che la pensione sia 1,5 volte il valore dell’assegno sociale (nel 2020 pari 5.977,79 euro annui). Successivamente è previsto che ogni due anni il requisito anagrafico aumenti di 3 mesi: quindi nel 2023-2024 l’età sarà di 67 anni e 3 mesi e così via.
Possibilità di pensione anticipata: fino al 2026 compreso, chi ha maturato 42 anni e 10 mesi (se uomo) e 41 anni e 10 mesi (se donna) può andare in pensione indipendentemente dall’età. Inoltre, chi è nel sistema contributivo, può anticipare di 3 anni l’uscita rispetto all’età della pensione di vecchiaia (dunque oggi 64 anni) a patto di avere 20 anni di contributi e che la pensione sia pari a 2,8 volte l’assegno sociale.
Infine, il 2021 è l’ultimo anno per sfruttare quota 100 (è necessario avere minimo 62 anni di età e 38 di contributi) ed è stata rinnovata anche per quest’anno l’opzione donna, con la quale le lavoratrici dipendenti di età minima di 58 anni (59 anni le autonome) e 35 anni di contributi entro il 31 dicembre 2020 possono andare in pensione in anticipo. Devono però accettare che la loro pensione sia calcolata interamente con il metodo contributivo (quindi più penalizzante).