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Il mare della Grecia si è tinto di rosso
13 anni fa - lunedì 1 marzo 2010· Ad Atene settimana scorsa si è scioperato: la necessità di mettere in sesto i conti pubblici ellenici implica una dura prova per i cittadini che vedranno crescere la pressione fiscale (Iva più alta, maggiori accise sulla benzina) e tagliare gli stipendi e il numero di dipendenti pubblici. Per questo si fanno sentire le tensioni sociali, ma anche i primi screzi con gli altri Paesi europei che dovrebbero venire in soccorso dei conti pubblici greci aprendo il portafoglio.
· Infatti, dopo che i greci sono finiti sotto accusa per avere "ammorbidito" le statistiche sui loro conti pubblici, in Germania sta montando la polemica sul fatto che il contribuente tedesco debba pagare le leggerezze fiscali elleniche. E tutto ciò in un momento delicato per la coalizione (democristiani / liberali) oggi al potere in Germania che vede un crollo dei consensi per i liberali e l'avvicinarsi delle elezioni in Nord Reno - Westfalia, una regione che produce un quinto della ricchezza tedesca (è la loro Lombardia), e dove è al governo una coalizione specchio di quella del governo Merkel.
· Insomma un piano di salvataggio per i conti greci che attinga solo dalle casse dei vicini europei col tempo si è fatto tutto in salita (ecco l'impennarsi del rischio dei titoli greci, vedi grafico nella pagina seguente), anche se, pur nel clima di cresciuta incertezza, resta un'eventualità possibile (insieme a quella di un prestito del Fondo monetario internazionale) e ribadita pure nel fine settimana con la prospettiva di un intervento da parte di istituti di credito pubblici francesi (Caisse des dépots) e tedeschi (Kfw).
· In questo contesto di mercati turbolenti i greci hanno rinviato a marzo una emissione di titoli di Stato decennali per un importo di 3-5 miliardi di euro inizialmente prevista entro febbraio. Finora, quindi, lo Stato greco ha collocato solo 13 dei 53 miliardi di euro di emissioni previste per l'intero 2010, e i mesi più "critici" saranno quelli a cavallo tra aprile e maggio quando sono previsti circa 20 miliardi di euro di debiti in scadenza. In poche parole Atene ha tempo entro la fine della Quaresima per risolvere i suoi problemi, ed evitare che si ripetano dichiarazioni come quelle di banche come Eurohypo e Hypo Real Estate che hanno detto di non voler sottoscrivere le prossime emissioni greche.
· Come se ciò non bastasse l'Unione Europea ha pure bacchettato i piani di risanamento della Grecia dicendo che mancano 4,8 miliardi di euro per centrare l'obiettivo, e Fitch, una delle principali agenzie di rating, ha sottolineato come le banche greche rischino di ritrovarsi in seria difficoltà per la crisi dello Stato ellenico, mentre le altre agenzie minacciavano ulteriori declassamenti per lo Stato greco, pur ammettendo che è ragionevole immaginare che un simile risanamento non possa essere messo in piedi da un giorno all'altro.
· In tutto questo caos è stato, quindi, abbastanza scontato che si sia levata la voce di chi sostiene che la Grecia potrebbe essere cacciata dall'euro o, in alternativa, potrebbe saltare dichiarando bancarotta. La possibilità che la Grecia esca dall'euro è però, a nostro avviso, un’ipotesi di pura fantascienza. Invece il fatto che la Grecia non ce la faccia e finisca in default non è a priori impossibile, ma non ci sembra probabile, in quanto non ha ancora sparato nessuna delle cartucce a disposizione.
Un euro è per sempre?
· Abbandonare l’euro è pressoché impossibile, ma non tanto per l’assenza di una clausola di uscita dagli accordi stipulati all’atto dell’adesione alla moneta unica, quanto per i costi che la Grecia si troverebbe a pagare. Di seguito vi diciamo quali sono.
· Reintroduzione della dracma. La reintroduzione della dracma necessita la ridenominazione in quella valuta di tutti i contratti, compresi quelli che regolano i salari, i depositi bancari, i titoli, i mutui, le tasse... Si dovrebbero inoltre riprogrammare i computer, modificare i distributori automatici e tutte le macchinette per il pagamento automatico, nuove banconote e monete dovrebbero essere distribuite in tutto il Paese.
· Iperinflazione. Abbandonato l’euro e adottata la dracma, sarebbe inevitabile una svalutazione; prodotti importati più cari innescherebbero una spinta inflazionistica da un lato, mentre dall’altro il debito pubblico rimasto in valuta forte (l’euro) diverrebbe ancora più pesante da onorare.
· Inoltre la nuova dracma greca sarebbe una piccola valuta all’interno dei mercati finanziari e quindi facile preda di speculazioni con conseguente aumento della sua volatilità. Una valuta molto instabile e volatile scoraggia possibili investimenti, soprattutto di lungo periodo, i più benefici per la crescita economica. Svalutazioni e inflazione elevata e instabilità valutaria porterebbe a un ulteriore abbassamento del rating, con un conseguente incremento dei tassi richiesti dal mercato e un incremento del costo del servizio del debito, rendendo ancor più difficile ripagarlo, aumentando le possibilità di default e rendendo sempre più difficile avere nuovi crediti.
Islanda: al referendum sul debito
Lontana dai riflettori della crisi, anche grazie alla Grecia, l'Islanda il 6 marzo voterà un referendum in cui chiede ai propri cittadini se lo Stato si dovrà fare carico o meno di quasi 4 miliardi di euro di debiti verso inglesi e olandesi della banca Icesave (sono oltre 12.000 euro di debito per ogni islandese, neonati inclusi). Il motivo di un simile referendum è che se gli islandesi non pagano rischiano di trovare una forte opposizione inglese e olandese alla loro entrata nella Ue. Allo stesso tempo, però, c'è da scommettere che lassù l'Ue sarà sempre più impopolare.
· Infine un Paese che rinnega il suo impegno con l’euro entra in contrasto con gli altri Paesi e non sarà certo il benvenuto ai tavoli decisionali dell’Unione Europea: sarà trattato come un membro di serie B, sempre ammesso che rimanga un membro dell’Unione.
· Fuori dall’euro la Grecia si troverebbe con un’economia ancor più fragile, con inflazione, debito pubblico più elevato e costoso. Una situazione peggiore di quella attuale che, per essere eliminata, richiederebbe riforme ancora più dure delle attuali e sacrifici maggiori ai cittadini. Tutto questo rende, nella pratica, impossibile abbandonare l’euro.
Perché il Partenone non si spezzerà
· Prima di valutare la probabilità di un crack della Grecia inquadriamo il problema. Lo Stato greco è molto indebitato (110% circa del Pil – la ricchezza totale prodotta in un Paese) e nel 2010 spenderà più di quanto dovrebbe incassare dalle tasse (si è impegnata a contenere il disavanzo all'8,7% del Pil) e dovrà rastrellare con nuove emissioni circa 50 miliardi di euro (un quinto del Pil) per onorare cedole e debiti in scadenza. Qualora fallisse in questo non potrebbe pagare i debiti e finirebbe di fatto in default.
· E qui è importante una precisazione: ogni Stato, anche il più affidabile come gli Stati Uniti o la Germania, deve affrontare spesso il problema di trovare chi sottoscrive i suoi titoli di Stato. Il problema è che Usa e Germania sono sicuri (oggi) di trovare un numero di sottoscrittori sufficiente. La Grecia lo è, ma un po' meno, a causa della sfiducia nei suoi confronti che porta diritto al default. Il problema non è, dunque, la necessità di trovare soldi, ma la difficoltà a trovarne di freschi qualora ci sia una crisi.
· A lungo si è detto che la Grecia sarebbe stata salvata dagli altri Paesi europei al fine di evitare una situazione tipo crack Lehman, quando la decisione di lasciarla fallire ha generato una crisi a catena che è andata a colpire tutta l’economia. Un default della Grecia rischia, infatti, di aprire la strada a nuove tempeste su Portogallo, Irlanda, Spagna e, forse, Italia. Questa certezza è ora venuta meno per la contrarietà delle opinioni pubbliche europee, assai divise sul da farsi.
· I governi sono titubanti (il premier greco si è lamentato di essere venuto via a mani vuote da una riunione europea). Vista la scarsa prontezza di riflessi mostrata dall'Europa in più occasioni, un salvataggio da parte di Germania e Francia è stato messo in serio dubbio.
PROBABILITÀ DI FALLIMENTO: 1 SU 30 DA QUI A 10 ANNI
Il costo di assicurare 100 euro di titoli greci da un'insolvenza da qui a 10 anni (in grassetto, la linea sottile è su un orizzonte di 5 anni) è di circa 3,4 euro, una probabilità di fallimento su 30 (l'Italia ha una probabilità su 77).
Grecia uguale Argentina? No, grazie!
· Per quanto i default sembrino somigliarsi non è possibile fare un parallelo con la crisi Argentina del 2001. L'Argentina veniva da tre anni di stagnazione e i capitali tentavano di fuggire dal Paese (il governo fu costretto a limitare i prelievi dai conti correnti).
· Inoltre sull'Argentina pesava lo spettro della svalutazione del peso (come abbiamo visto è una cosa esclusa per la Grecia) che, infatti, nel 2002 perse i due terzi del suo valore rispetto al dollaro, moltiplicando, però, per 3 i debiti argentini. Anche a livello di rating l'Argentina nel 2001 riceveva una valutazione nettamente inferiore a quella greca (che per una delle tre agenzie di rating è ancora A, cioè discreta).
· Tuttavia i tedeschi devono fare anche i conti con la forte esposizione delle loro banche nei confronti della Spagna che è vista come la successiva vittima della speculazione qualora cadesse la Grecia. Per l'esecutivo tedesco salvare Atene oggi significa, quindi, evitare problemi con Madrid domani.
· Accanto a tutto questo si è comunque fatta avanti l'idea che una soluzione accettabile alla crisi passerebbe per un aiuto da parte del Fondo monetario internazionale (Fmi), che ha soldi a sufficienza per fare un bel bonifico alla Grecia in un batter d'occhio e garantirne la solvibilità, finché non rimette in sesto i conti. Funzionari dell'Fmi sono peraltro già al lavoro in Grecia insieme a quelli dell'Unione Europea. Certo il Fondo monetario poi impone condizioni gravose ai Paesi a cui dà denaro, ma questo è un problema che si sta facendo via via meno importante.
· A giudicare dai costi dei Cds (Credit default swap - le polizze assicurative che i grandi investitori come le banche acquistano per mettersi al sicuro dal fallimento dei loro debitori) la probabilità di un crack greco da qui a 10 anni è data circa 1 a 30, cioè un ipotetico scommettitore che volesse scommettere un euro sul crollo di Atene potrebbe trovare gente disposta a pagargliene 30 (una quotazione non dissimile alla vittoria ai mondiali di calcio 2010 di Portogallo e Costa D'Avorio date 1 a 30 dalla Snai).
STATI IN DEFAULT: QUANTO HANNO PORTATO A CASA GLI INVESTITORI? | |||
Paese |
Banca d'Inghilterra |
Sturzenegger/Zettelmeyer | |
|
Dato medio |
Dato medio |
Minimo e massimo |
Argentina |
30% |
27% |
18%-36% |
Belize |
70% |
n. d. |
n. d. |
Rep. Dominicana |
oltre 95% |
n. d. |
n. d. |
Ecuador |
60% |
73% |
53%-81% |
Grenada |
60% |
n. d. |
n. d. |
Pakistan |
65% |
69% |
68%-71% |
Russia |
50% |
47% |
46%-48% |
Russia* |
50% |
37% |
37% |
Ucraina |
60% |
72% |
65%-78% |
Uruguay |
85% |
87% |
80%-95% |
NB: * Percentuali relative a emissione russa denominata in dollari. Banca d'Inghilterra: Bedford, Paul, Adrian Penalver e Chris Salmon: “Resolving the sovereign debt crises: the market-based approach and the role of the Imf”, Financial stability review, Bank of England, giugno 2005. Sturzenegger/Zettelmeyer: Sturzenegger, Federico e Jeromin Zettelmeyer: “Haircuts: estimating investor losses in sovereign debt restructurings 1998-2005”, Imf working paper, 2005.