Vincolo sportivo: la libertà non c’è, ma il business sì
I giovani dilettanti non sono liberi di cambiare squadra quando vogliono, per anni. Lo prevedono i regolamenti delle varie federazioni sportive. E, all'ombra del vincolo, nascono i ricatti di quelle società che chiedono soldi per concedere il cartellino.
- di
- Stefania Villa

Giovani sportivi vincolati alla stessa società per anni, senza la libertà di poter scegliere dove andare a giocare. Non è così risaputo e spesso non ne sono consapevoli neanche i genitori che firmano per il tesseramento dei loro figli (come abbiamo visto nell’ultimo speciale), ma si chiama vincolo sportivo e, per i dilettanti, è previsto nei regolamenti delle varie Federazioni affiliate al Coni. Dura dai 14 anni ai 24 nella pallavolo, dai 14 ai 25 nel calcio, dai 12 ai 21 nel basket e così via: vuol dire che per tutto quel periodo, senza il consenso della società o dell’associazione sportiva, i ragazzi non possono andare a giocare in un'altra squadra che fa parte della federazione.
Quando nascono gli abusi
Ogni realtà sportiva è diversa dall’altra e c’è anche chi lascia liberi i giovani giocatori, ma succede anche che all’ombra del vincolo nasca il business di quelle società che chiedono ai genitori un vero e proprio riscatto in cambio dello svincolo. E così ci sono ragazzi che, non potendoselo permettere, si ritrovano ad abbandonare lo sport, ragazzi che lasciano il mondo Coni togliendosi delle opportunità e ragazzi che, alla fine, pagano per giocare dove desiderano. Ma la Carta olimpica, fondamento della pratica sportiva, non diceva che lo sport “è un diritto dell’uomo” e che “ogni individuo deve avere la possibilità di praticare uno sport in base alle proprie necessità”?. Tutti i dettagli nell’inchiesta completa, in cui abbiamo raccolto la testimonianza di chi ha subito il ricatto, dando voce anche al mondo del diritto sportivo, delle società e delle federazioni.