La settimana delle obbligazioni: dopo la Fed, ora tocca alla Bce…
La settimana delle obbligazioni
La settimana delle obbligazioni
Negli Stati Uniti, la Fed ha annunciato il terzo taglio consecutivo dei tassi di interesse, riducendoli dello 0,25% e portandoli in un intervallo compreso tra il 3,5% e il 3,75%. Si tratta di una scelta che conferma un percorso di graduale allentamento, ma che allo stesso tempo evidenzia un orientamento prudente. All’interno del comitato non sono mancate divisioni: tre membri hanno espresso dissenso, due favorevoli a mantenere i tassi invariati e uno propenso a un taglio più ampio. Tuttavia, mettendo insieme le aspettative dei diversi componenti, emerge che per il 2026 è previsto un solo ulteriore taglio, segnale di una politica monetaria che intende procedere con cautela. Jerome Powell, il governatore della Fed, ha chiarito che l’attuale livello dei tassi è considerato adeguato a sostenere l’occupazione e mantenere sotto controllo l’inflazione, destinata a rientrare verso il 2% una volta superati gli effetti dei dazi. Dopo questo intervento, il presidente della Fed ha sottolineato che la politica monetaria si trova in una “buona posizione” per attendere e osservare l’evoluzione dell’economia prima di assumere nuove decisioni, escludendo la possibilità di un rialzo dei tassi fino al 2028. Le opzioni sul tavolo riguardano dunque una fase di pausa o eventuali ulteriori tagli, mentre nessun governatore immagina tassi superiori al 3,75-4% nei prossimi tre anni. In questo contesto, la Fed ha annunciato l’avvio di acquisti di titoli del Tesoro a breve termine, in particolare a due anni, per garantire un’ampia disponibilità di riserve, segnando un passaggio verso una gestione della liquidità più che della politica monetaria in senso stretto.
In Europa, le parole della presidente Bce Lagarde hanno alimentato le aspettative su una possibile revisione al rialzo delle proiezioni di crescita dell’area euro già nella riunione di dicembre. Secondo Lagarde, la Bce potrebbe nuovamente migliorare le stime, dopo che i timori iniziali legati a dazi, rallentamento globale e concorrenza internazionale non si sono tradotti in un deterioramento marcato dell’attività economica. La presidente ha ribadito che la politica monetaria è in una buona posizione e che non è compito dei tassi risolvere problemi strutturali, rafforzando l’idea di una fase di stabilità per il costo del denaro. Insomma, niente taglio dei tassi nella riunione di questa settimana.
In questo scenario si inseriscono anche le decisioni di altre Banche centrali. La Banca nazionale svizzera ha confermato il tasso allo 0%, evitando il ritorno ai tassi negativi nonostante un’inflazione più debole, rivista al ribasso per il 2026 e il 2027, e una crescita attesa intorno all’1%. Il rafforzamento del franco e la stabilità del contesto globale hanno sostenuto questa scelta. La Banca centrale del Brasile ha mantenuto i tassi al 15%, il livello più alto degli ultimi vent’anni, adottando un approccio da falco in un contesto di inflazione ancora sopra l’obiettivo e di crescita debole. La Reserve Bank of Australia ha lasciato il tasso al 3,6%, segnalando che ulteriori tagli non sono imminenti, mentre la Bank of Canada ha mantenuto il tasso al 2,25%, giudicandolo adeguato in un contesto di resilienza economica ma di crescita futura moderata.
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