La settimana delle obbligazioni: cosa succede con i tassi?

La settimana delle obbligazioni
La settimana delle obbligazioni
La Banca centrale europea ha, per la prima volta, parlato espressamente della possibilità di ridurre il costo del denaro nei suoi comunicati e nelle dichiarazioni ufficiali successive alla riunione di politica monetaria, nella quale, come da attese, ha lasciato i tassi fermi al 4,5%. Non ha ovviamente annunciato ufficialmente la decisione futura, perché ha voluto sottolineare che un taglio dei tassi arriverà solo se avrà più certezze che il carovita, inteso come inflazione e inflazione di fondo, stia convergendo stabilmente verso l’obiettivo del 2%. Si tratta di un ulteriore tassello al mosaico, che ora prende sempre più la forma del mese di giugno come data per tagliare i tassi. Pur andando nel verso della conferma di ciò che i mercati anelano da tempo, la reazione di questi ultimi non è stata positiva, tutt’altro, nel giorno dell’annuncio della Bce. Come mai? A non piacere è stata la dichiarazione secondo la quale l’Istituto di Francoforte non si vuole preventivamente impegnare su un particolare percorso dei tassi. In altri termini, la Bce ha voluto far sapere che i tassi potranno anche essere tagliati a giugno, ma questo non significa automaticamente che inizierà una chiara e precisa serie di riduzioni nel costo del denaro. Tutto dipenderà dai dati. Per cui, a giugno ci sarà un taglio – a meno di pessime notizie da qui ad allora – ma poi per le successive mosse nulla è deciso. Decidere un taglio non è sinonimo di continuare a tagliare in modo continuativo. Se i mercati hanno reagito male il giorno della riunione della Bce, non hanno però modificato le loro attese sul livello del costo del denaro entro fine 2024: si aspettano ancora tre tagli totali. Questo perché, sebbene alla Bce ci sia chi vorrebbe subito un altro taglio a luglio dopo quello di giugno, c’è anche chi vorrebbe un taglio ogni tre mesi, cioè ogni volta che vengono aggiornate le stime su Pil e inflazione, ma entrambi i casi sono compatibili con tre tagli entro la fine dell’anno. Infine, c’è una cosa che la Bce ha voluto affermare con chiarezza: le decisioni della Fed non la influenzeranno in nessun modo.
E a proposito di Fed, la Banca centrale Usa non è assolutamente soddisfatta di come sta andando il carovita negli Stati Uniti. C’è scritto nei verbali dell’ultima riunione, dai quali si evince che la Banca centrale Usa ritiene “deludenti” i dati sul carovita e ribadisce che serve maggior sicurezza sui progressi sull'inflazione prima di tagliare i tassi d'interesse. Tutto questo è stato detto prima che arrivasse il dato sull’inflazione di marzo, che non ha fatto altro che dare ragione ai timori della Fed. Ancora una volta, infatti, l’inflazione ha deluso le attese ed è stata più alta di quanto previsto. L’indice generale dei prezzi al consumo è salito dal 3,2% al 3,5%, mentre le attese erano per un +3,4%. Oltre la metà dell'aumento mensile (+0,4%) è stato dovuto agli alloggi e alla benzina, ma anche non considerando i prezzi degli alloggi, guardando a quella che è chiamata l’inflazione super-core dei servizi, il dato parla di un rialzo dello 0,65% mensile: livelli elevati che mostrano pressioni inflazionistiche. Per quanto riguarda l’inflazione di fondo, cioè calcolata al netto di alimentari ed energia, ha registrato un aumento dello 0,4% su base mensile (+0,3% stimato dal mercato), mentre su base annuale fa segnare +3,8%, come a febbraio, ma più alto del 3,7% stimato dal mercato. Tutto ciò ha fatto rivedere ulteriormente le attese del mercato sui tassi. Per la riunione di giugno un taglio ha una probabilità di solo il 28% e anche per quella di luglio ora c’è solo un 56% di possibilità.
Se la Fed non è contenta dei dati sull’inflazione, lo stesso può dirsi per la Cina, ma per motivi opposti. I dati sul carovita di marzo rinvigoriscono, infatti, le paure deflazionistiche. A marzo l’inflazione cinese è cresciuta solamente dello 0,1%, rallentando dallo 0,7% di febbraio e facendo peggio delle attese che si attendevano un +0,4%. Addirittura, il dato mensile parla di un -1%. Sempre negativo, poi, il dato sui prezzi alla produzione: -2,8%, in linea con le attese. Questo dato segnala che le pressioni deflazionistiche, sintomo di una debolezza economica, sono ancora forti: sono uno dei timori citati da Fitch nel giustificare la decisione di modificare l’outlook del rating cinese da stabile a negativo – quindi in futuro il giudizio potrebbe essere tagliato. Il rating è però stato confermato ad A+. L’idea è la seguente: il Governo probabilmente accumulerà debiti nel tentativo di far uscire l'economia da un rallentamento trainato dal settore immobiliare, ma questo appesantirà la crescita -che si presenta debole, come visto – e così il rapporto debito/Pil crescerà.
C’È ANCHE CHI PUÒ DIRSI SODDISFATTO DELL’INFLAZIONE
Se negli Stati Uniti ed in Cina i dati sull’inflazione non sono quelli desiderati, c’è anche chi ha sorriso dopo le notizie sul carovita: si tratta di Brasile e Norvegia. In Brasile, infatti, a marzo il carovita è stato pari al 3,93% dal 4,5% di febbraio, sotto le attese del 4,01%, mostrando così una dinamica disinflazionistica che prosegue come desiderato. La Banca centrale brasiliana aveva annunciato un altro taglio dello 0,5% - e con questi dati ha campo libero per mantenere la promessa nella prossima riunione - con i mercati che scontano successivi tagli dello 0,25% per un costo del denaro a fine 2024 che dovrebbe attestarsi al 9%.
In Norvegia, invece, ancora una volta l’inflazione sorprende i mercati con un dato più basso delle attese, tornando così a rinfocolare le scommesse sul fatto che il taglio dei tassi d’interesse da parte della Norges Bank arriverà prima di dicembre di quest’anno, e più precisamente a settembre. L’indice generale dei prezzi ha rallentato al 3,9% dal 4,5%, mentre le attese erano per un +4,2%. L’inflazione di fondo si è invece attestata a marzo al 4,5%, dal 4,9% di febbraio, contro attese a +4,7%.
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