La settimana delle obbligazioni: dazi, salari, prezzi e Bce

La settimana delle obbligazioni
La settimana delle obbligazioni
Il presidente Usa Trump, la scorsa settimana, è tornato ad usare la minaccia dei dazi e questa volta la vittima è l’Unione europea, contro le cui merci sono pronte tariffe del 25%. Il tema, però, non ha riguardato solo la zona euro, ma anche Messico e Canada, per i quali i dazi entreranno in vigore il 4 marzo, nonché la Cina, sulle cui merci Trump ha detto di voler raddoppiare i dazi. Se alle minacce seguiranno azioni concrete, l’economia di eurolandia subirebbe un colpo molto duro e si materializzerebbe uno dei rischi più temuti anche dalla stessa Bce. Dai verbali dell’ultima riunione dell’Istituto di Francoforte, infatti, si evince che le previsioni di crescita elaborate lo scorso dicembre sono troppo ottimistiche, perché non tengono conto dell'impatto dei dazi Usa. C’è dunque da aspettarsi una revisione al ribasso delle stime sul Pil e questo fornirà una motivazione in più alla Bce per tagliare i tassi. Un altro elemento a favore di un taglio dei tassi arriva poi dal dato sui salari. Dopo l’indice anticipatore della Bce (chiamato Ecb wage tracker), vedi n° 1593, che prevede salari in calo nel 2025, la conferma che una delle maggiori pressioni inflazionistiche si va attenuando è arrivata dai salari negoziati.
Nel quarto trimestre del 2024 la crescita dei salari ha rallentato dal 5,4% al 4,1%, confermando che gli stipendi sono destinati ad aumentare più lentamente in futuro. Si tratta di una buona notizia perché dovrebbe portare anche a un allentamento dell'inflazione dei servizi, che da mesi è intorno al 4% ed è fonte di preoccupazione per la Bce. Quest’ultima continua però a essere certa che l’inflazione possa convergere al 2% e questi dati sono un’iniezione di fiducia. Questa settimana la Bce taglierà i tassi dello 0,25%.
CINA: PMI SOPRA LE ATTESE
In attesa di vedere se gli Usa alzeranno i dazi o meno, l’attività economica cinese conosce un febbraio positivo, con dati anche superiori alle attese. L’indice Pmi composito, che riassume sia l’attività manifatturiera sia quella non manifatturiera, è salito da 50,1 a 51,1 punti. L’Indice manifatturiero, inoltre, è tornato a segnare una fase di espansione, passando da 49,1 a 50,2 punti (le attese erano a 50,1).
USA: CONSUMI E PREZZI SOTTO LA LENTE
L'indice dei prezzi delle spese per consumi personali (PCE) è una delle metriche preferite dalla Fed per monitorare il carovita negli Stati Uniti. A gennaio l’indice PCE core, che viene calcolato escludendo il prezzo di energia e alimentari, ha mostrato una crescita del 2,6%, come da attese, in rallentamento dal 2,9% di dicembre 2024. Il 2,6% di gennaio è l’incremento più contenuto dal 2021. In generale, i dati sull’inflazione PCE forniscono dei segnali misti: il rallentamento dei prezzi è una boccata d’ossigeno per la Fed. Sempre a gennaio, però, si è registrato un calo dello 0,5% nei consumi reali, il più marcato degli ultimi 4 anni. Questo è un dato che potrebbe far sorgere dei dubbi sulla crescita Usa, ma in parte si giustifica con fattori stagionali – un inverno più rigido. Infine, il reddito reale disponibile degli americani è cresciuto dello 0,6%, sostenuto dal + 0,9% dei redditi nominali. Questi ultimi due dati sono invece positivi in ottica di consumi futuri e potrebbero sostenere la crescita, ma anche i prezzi.
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