La settimana delle obbligazioni: tutto dipende dai dazi?

La settimana delle obbligazioni
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BCE: TRA STAGNAZIONE E RALLENTAMENTO DEI PREZZI
In Europa, la Bce intravede la fine del percorso di disinflazione, con la presidente Lagarde che ha affermato che il processo di riduzione dell’inflazione nella zona euro è quasi completato, esprimendo ottimismo circa il raggiungimento dell’obiettivo del 2% entro il 2025. Anche altri membri del Consiglio direttivo della Bce condividono questa visione, evidenziando una decelerazione significativa dei salari come ulteriore prova del raffreddamento inflazionistico.
L’indicatore salariale della Bce segnala, infatti, un incremento dell’1,6% nel quarto trimestre di quest’anno, ben al di sotto del picco del 5,3% registrato l’anno precedente. La crescita salariale è uno degli indicatori più importanti in fatto di pressioni inflazionistiche e un suo rallentamento è un’ottima notizia, in prospettiva, per parlare di ulteriori tagli nei tassi. Un’altra notizia che può portare la Bce a considerare un altro taglio nei tassi è l’andamento dell’economia. In base ai dati sul Pmi, infatti, si può dire che l'economia di eurolandia sia stagnante.
L’indice Pmi composito della produzione dell’eurozona, che tiene conto sia del settore manifatturiero, sia di quello non manifatturiero, è pari ad aprile a 50,1 punti, dunque solo marginalmente superiore alla soglia di 50 punti che rappresenta lo spartiacque tra contrazione ed espansione. Si tratta di un dato in rallentamento rispetto al 50,9 di marzo ed è anche inferiore alle attese di mercato (che erano a 50,3 punti). Su questo risultato la manifattura e i servizi hanno avuto un andamento contrapposto. Per molto tempo, infatti, sono stati i servizi a mantenere in territorio positivo l'indice Pmi dell'eurozona. Tuttavia, ad aprile è stato proprio il settore dei servizi a deludere e a portare l'economia dell'eurozona in stagnazione.
Salari previsti in rallentamento, inflazione che ci sia aspetta converga al 2% e attività economica che ristagna sono tutti elementi che fanno propendere per nuovi tagli dei tassi. Ciò nonostante, la Banca centrale europea rimane prudente e continua a dire che procederà di riunione in riunione,
TRUMP: LICENZIAMENTO SÌ, LICENZIAMENTO NO
Negli Stati Uniti, la Federal Reserve si mostra più cauta rispetto alla Bce. Il Beige Book, il consueto rapporto sull’andamento dell’economia, descrive un’attività economica a stelle e strisce sostanzialmente stabile, ma accompagnata da un diffuso senso di incertezza, soprattutto per l’evoluzione delle politiche commerciali. Il mercato del lavoro appare solido, sebbene la crescita salariale stia rallentando, e l’aumento dei prezzi viene definito “modesto” o “moderato”. Tuttavia, più che questi dati sull’economia, a tenere banco sono le parole del Presidente Usa. Trump da una parte ha dichiarato di poter annunciare nuove tariffe entro due o tre settimane, nell’ambito di una strategia a più livelli che prevede incrementi graduali per alcuni beni fino al 2029, ma dall’altra si è detto fiducioso su un possibile accordo con l’Unione europea, ma anche con la Cina. Un altro tema che ha tenuto banco sono le dichiarazioni contro il governatore della Fed: dagli attacchi per non voler tagliare i tassi alle minacce di licenziamento, le dichiarazioni di Trump hanno pesato non poco su dollaro e titoli di Stato Usa, minando la fiducia nell’indipendenza della Fed. Anche in questo caso, però, sono poi seguite dichiarazioni più concilianti, nelle quali il Presidente ha assicurato di non volere licenziare Powell.
Sul fronte cinese, la risposta resta per ora misurata. La Banca centrale cinese ha deciso di mantenere invariati sia il tasso a un anno (3,1%) sia quello a cinque anni (3,6%), usato come parametro di riferimento per i mutui. Si tratta di una scelta attesa dal mercato, considerato che i precedenti tagli avevano avuto un impatto limitato sull’economia. Con margini di manovra sempre più stretti, Pechino sembra orientata a privilegiare gli stimoli fiscali rispetto a quelli monetari, in un contesto reso ancora più incerto dalle tensioni commerciali globali.
FMI: SFORBICIATA ALLA CRESCITA
La previsione di crescita globale è stata rivista al ribasso a 2,8% nel 2025 e 3% nel 2026, rispetto al 3,3% previsto per entrambi gli anni nelle stime di gennaio. La principale ragione di queste revisioni al ribasso è la serie di nuove misure tariffarie imposte dagli Stati Uniti e le contromisure adottate dai suoi partner commerciali.
COME SONO ANDATI I PRODOTTI
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