La settimana delle obbligazioni: inflazione per l’eurozona, Pil per gli Usa

La settimana delle obbligazioni
La settimana delle obbligazioni
STATI UNITI: PRIMO TRIMESTRE IN CONTRAZIONE
L'economia degli Stati Uniti ha registrato un inatteso rallentamento nel primo trimestre del 2025, con il Pil che è diminuito a un tasso annualizzato dello 0,3% (le attese erano per +0,2%). Questo dato segna la prima contrazione dal primo trimestre del 2022 e rappresenta una netta inversione di marcia rispetto alla crescita del 2,4% osservata nel quarto trimestre del 2024. Secondo la stima preliminare, la diminuzione del Pil nel primo trimestre è principalmente il riflesso di un aumento delle importazioni e una diminuzione della spesa pubblica. L'aumento delle importazioni è stato infatti particolarmente significativo, registrando un balzo del 41,3%. Questa impennata è stata trainata da beni di consumo, in particolare prodotti farmaceutici, medicinali e vitamine, e da beni strumentali come computer e componenti. Questo aumento delle importazioni è stato in parte attribuito agli importatori che hanno preordinato prodotti per anticipare l'implementazione dei dazi annunciati dall'amministrazione Trump. In altre parole, temendo dazi futuri hanno fatto scorte ora, ma le importazioni impattano negativamente sul calcolo del Pil.
Se in questo primo trimestre la paura dei dazi ha fatto anticipare le importazioni, portando così in rosso la crescita, nei mesi successivi potrebbero, se effettivamente applicati, comportare ancora più dolori all’economia Usa. I dazi, infatti, come quelli del 25% su Canada e Messico e del 10% sulla Cina annunciati a febbraio 2025 (sebbene quelli su Canada e Messico siano stati sospesi fino al 2 aprile), rischiano di essere costosi. Potrebbero aumentare l'inflazione di fondo dello 0,5% entro fine anno, ritardando i tagli dei tassi. Non solo: i dazi funzionano come un aumento delle tasse, inaspriscono le condizioni finanziarie e aumentano l'incertezza per le imprese pesando sulla crescita del Pil. In tutto questo, cosa farà la Fed? Si trova di fronte a una situazione potenzialmente molto complessa: i dazi potrebbero infatti avere due effetti di senso opposto. Da una parte potrebbero far aumentare l’inflazione, dall’altra potrebbero far diminuire il Pil. Tutto, quindi, dipenderà dall’esito delle negoziazioni sui dazi. In questa totale aleatorietà, però, c’è una certezza: nella riunione di questa settimana la Fed non taglierà i tassi.
EUROZONA: INFLAZIONE STABILE. COSA FARÀ LA BCE?
L’inflazione nell’area euro ha mostrato segnali contrastanti nel mese di aprile, alimentando il dibattito tra gli osservatori su quali saranno le prossime mosse della Banca centrale europea. A trainare l’inflazione sono stati soprattutto i servizi, che hanno registrato un’impennata al 3,9% annuo (rispetto al 3,5% di marzo). Questa dinamica suggerisce un’inflazione sempre più trainata dai settori legati ai servizi e meno influenzata dai beni e dai costi energetici. Una configurazione che, secondo alcuni membri della Bce, potrebbe rappresentare un rischio: le sorprese al rialzo proprio nei servizi sono infatti viste con una certa preoccupazione, in quanto potrebbero segnalare una pressione di fondo più persistente sui prezzi. Tuttavia, il quadro complessivo resta favorevole per un orientamento più morbido della politica monetaria. Nonostante il dato superiore alle attese, il livello dell’inflazione si mantiene vicino all’obiettivo del 2% fissato dalla Bce e molti funzionari, inclusa la presidente Lagarde, si sono mostrati ottimisti sul fatto che il traguardo sia ormai "quasi completato". A rafforzare la tesi di un prossimo taglio dei tassi sono anche le prospettive economiche, ancora incerte. La Bce non prevede una recessione, ma segnala che la crescita potrebbe riprendersi più lentamente del previsto. Le tensioni commerciali con gli Stati Uniti preoccupano sempre di più. La possibilità che prodotti cinesi, esclusi dal mercato americano, vengano dirottati verso l’Europa potrebbe infatti esercitare pressioni disinflazionistiche nell’ordine dello 0,5%-1,5% sull’inflazione europea. In questo contesto, la Bce sembra pronta a muoversi in modo anticipatorio. Dunque, l’incertezza sullo scenario globale porta a non sovrastimare l’importanza del dato di aprile, dando molto più peso all'effetto negativo dei dazi sulla crescita economica, che terrà bassa l'inflazione. I mercati sembrano pensarla allo stesso modo, scontando almeno due o tre tagli da 0,25% entro la fine dell’anno.
CINA: PMI IN DIFFICOLTÀ
L’economia cinese lancia segnali di rallentamento sempre più evidenti. L’indice Pmi manifatturiero è sceso a quota 49 punti nel mese di aprile, in calo rispetto al 50,5 registrato a marzo. È un dato che segna il ritorno in territorio di contrazione, e che fa anche peggio delle attese (a 49,7 punti), alimentando le preoccupazioni su uno dei pilastri dell’economia cinese. Per quanto riguarda invece il Pmi non manifatturiero, si mantiene ancora in territorio di espansione, a 50,4 punti, ma fa comunque peggio delle attese (a 50,6 punti) e fa segnare un rallentamento dai 50,8 punti di marzo.
Il rallentamento non è frutto del caso, ma il risultato di una combinazione di fattori interni ed esterni. In primo piano, le tensioni commerciali con gli Stati Uniti. Le politiche commerciali Usa pesano sull’export cinese, colpendo soprattutto i settori ad alta intensità di esportazione. Non va meglio sul fronte interno. Il mercato immobiliare, che per anni ha trainato la crescita, è in piena crisi: prezzi in calo, progetti fermi e aziende in difficoltà stanno minando la fiducia dei consumatori e l’equilibrio del sistema bancario. A questo si aggiunge la sfida strutturale della riforma del sistema pensionistico, sempre più urgente in un paese che invecchia rapidamente. E mentre le famiglie cinesi diventano più caute, la domanda interna fatica a risalire, aggravando la debolezza congiunturale.
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