La settimana delle obbligazioni: inflazione in calo, ma sui tassi…
La settimana delle obbligazioni
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STATI UNITI: L’INFLAZIONE ILLUDE?
Sul fronte degli Stati Uniti, le ultime notizie sull'inflazione portano un cauto ottimismo. Ad aprile 2025, i prezzi al consumo sono cresciuti meno del previsto per il terzo mese consecutivo: un segnale che fa ben sperare in un allentamento delle pressioni inflazionistiche. L'indice dei prezzi al consumo è salito dello 0,2% su base mensile e del 2,3% su base annua, risultati migliori rispetto alle attese. Anche l'inflazione "core", che esclude le componenti più volatili come energia e alimentari, ha mostrato un aumento mensile contenuto allo 0,2%, anch'esso sotto le previsioni, mentre su base annua è rimasta stabile al 2,8%. Ed è approfondendo l'analisi del carovita americano guardando alle componenti di fondo, che sono poi quelle più significative, che sorgono alcuni dubbi sulla dinamica dei prezzi a stelle e strisce. L'ottimismo che deriva dal calo dell'indice generale, infatti, potrebbe essere fuorviante. L’inflazione di fondo è rimasta stabile rispetto al mese precedente e a far abbassare il dato dell’indice generale è stato il calo dei prezzi dell'energia: i rischi di recessione hanno fatto crollare il costo dell’energia, con il prezzo della benzina sceso dell’11,8% e quello del gasolio del 9,6%. Inoltre, come già accaduto in precedenza, i costi legati all’abitazione, gli shelter cost, hanno rappresentato oltre la metà dell’aumento mensile, con un incremento dello 0,3% solo in questa voce. Un altro dato osservato con attenzione dalla Federal Reserve è l’indicatore dei servizi “supercore”, che esclude anche i costi abitativi dai prezzi dei servizi. Dopo un calo a marzo, ad aprile è salito dello 0,21%. Rimane in linea con l’andamento degli ultimi mesi, e dunque non ci sono dati di cui preoccuparsi, ma è anche vero che non ci sono dati che segnalare un calo evidente delle pressioni inflazionistiche. L’altra notizia è quella per cui Stati Uniti e Cina hanno raggiunto un accordo temporaneo di 90 giorni per ridurre i dazi reciproci, con Washington che ha tagliato le sue tariffe dal 145% al 30% e Pechino dal 125% al 10%. Questa tregua offre uno spazio per cercare un'intesa più ampia. È chiaro che l’assenza di una guerra commerciale modificherebbe, ancora una volta, lo scenario, con inevitabili ricadute sulle scelte di politica monetaria. Non a caso, tra dati sull’inflazione e sospensione dei dazi, i mercati ora per la riunione di luglio stimano con maggiori probabilità un altro nulla di fatto, dopo quello scontato della riunione di giugno.
ZONA EURO: IL DIBATTITO È APERTO
Passando all'area euro, nel primo trimestre del 2025 l'economia dell'Eurozona ha registrato una crescita dello 0,3%, al di sotto delle attese degli analisti che prevedevano un aumento dello 0,4%, che era anche il dato comunicato in precedenza. Un dato che, pur positivo, riflette una ripresa debole e ancora fragile, minata da fattori esterni e incertezze di politica monetaria. A pesare sul sentimento economico sono soprattutto le nuove tariffe annunciate dagli Stati Uniti, che stanno generando un clima di incertezza sui mercati.
In una situazione come questa, i responsabili della politica monetaria, che hanno già operato sette riduzioni dei tassi di interesse a partire da giugno 2024, sono al centro di un dibattito, anche piuttosto acceso: mentre alcuni si mostrano aperti a ulteriori tagli, altri raccomandano prudenza a causa di potenziali rischi inflazionistici che potrebbero presentarsi. L'aspettativa è che l'inflazione torni in modo sostenibile verso l'obiettivo del 2%.
Tuttavia, permangono rischi all'orizzonte, inclusi quelli derivanti da possibili misure tariffarie di ritorsione e da un aumento della spesa fiscale in Europa. Le aspettative degli investitori riguardo a un ulteriore allentamento monetario si sono di recente attenuate, sebbene alcuni prevedano ancora un paio di tagli. Dato il contesto di incertezza, il sentimento generale è quello secondo cui un approccio cauto e il mantenimento dei costi di finanziamento vicini ai livelli attuali sarebbero la via più appropriata. Dopo tutto, l'incertezza legata alla politica tariffaria statunitense richiede particolare cautela nel decidere le prossime mosse, soprattutto quelle a breve scadenza.
Le opinioni sulla necessità di ulteriori tagli divergono: secondo un punto di vista, una riduzione dei tassi a giugno potrebbe essere giustificata dalle attese su inflazione e Pil, mentre un altro suggerisce che siano necessari più tagli a causa del peso dei dazi statunitensi sulla crescita, sposando la tesi che i dazi comporterebbero un effetto talmente negativo sulla crescita che anche l’inflazione scenderebbe.
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