La settimana delle obbligazioni. Geopolitica e tassi: il fragile equilibrio

La settimana delle obbligazioni
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Con la riforma fiscale degli Stati Uniti approvata dal Congresso, la Casa Bianca ha potuto concentrarsi sul suo argomento preferito: la minaccia dei dazi, notificata per lettera a una vasta gamma di partner commerciali. Le importazioni dal Canada sono minacciate da dazi doganali del 35%, quelle dal Giappone e dalla Corea del Sud saranno tassate al 25% dal 1° agosto. Alla Thailandia sono assegnati dazi del 36%. E non è tutto. Tra gli altri annunci, la minaccia di dazi doganali del 10% su tutti i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa), se questi ultimi dovessero adottare posizioni "dannose" per gli interessi americani. Per quanto riguarda l’Unione europea, i dazi sono al 30%. Di fronte a una simile ondata di dazi – e al fatto che gli Stati Uniti tengono la porta aperta a possibili negoziati fino alla fine di luglio – è difficile farsi un'idea concreta della portata di queste misure e del loro concreto impatto. Ma una cosa è certa: questi annunci non fanno nulla per migliorare la visibilità sulle prospettive dell'economia globale nei prossimi trimestri, complicando così il lavoro della Banche centrali.
Guarda caso, dai verbali dell’ultima riunione della Fed di giugno emerge una posizione ancora incerta. La maggior parte dei membri della Fed si dice aperta alla possibilità di un taglio dei tassi entro l’anno, ma riconosce che la pressione inflazionistica non è del tutto rientrata. Alcuni ritengono opportuno un taglio già nella prossima riunione, altri restano convinti che i tassi debbano rimanere invariati per tutto l’anno. In questo clima di incertezza, il messaggio condiviso è quello di cautela: attendere nuovi dati, mantenere un atteggiamento flessibile e adattare la strategia monetaria passo dopo passo. Le lettere sui dazi non aiuteranno a dissipare le incertezze, tutt’altro: per questo, nella riunione di questo luglio i tassi non saranno toccati. E in Europa? Il messaggio che emerge dalle dichiarazioni dei diversi esponenti è quello di una Bce prudente, in bilico tra il desiderio di sostenere la crescita e la necessità di mantenere l’inflazione sotto controllo, pronta ad agire solo se le condizioni lo renderanno necessario. Infatti, da un lato la Bce potrebbe proseguire con un allentamento della politica monetaria, ma solo se l’instabilità geopolitica e le tensioni commerciali globali acuiranno le spinte disinflazionistiche e metteranno a rischio la crescita economica. Dall’altro lato, le attuali condizioni economiche dell’eurozona – migliori del previsto – e l’inflazione stabile al 2% non giustificano ulteriori tagli dei tassi nel breve termine. In attesa dell’evolversi dei negoziati, la Bce, con tutta probabilità, a luglio non toccherà i tassi d’interesse.
Infine, capitolo Cina, da cui giungono segnali misti: il ritorno dell’inflazione in territorio positivo nel mese di giugno (+0,1% su base annua) pone fine a quattro mesi di deflazione, ma non basta a nascondere le fragilità strutturali del Paese. La domanda interna resta debole, i prezzi alla produzione continuano a calare e i produttori cinesi faticano a trovare sbocchi sui mercati esteri, penalizzati da barriere doganali.
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