La settimana delle obbligazioni: la Fed taglia? L’Europa rallenta?

La settimana delle obbligazioni
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Al simposio di Jackson Hole, il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, ha offerto una fotografia complessa dell’economia americana. I mercati hanno letto le sue parole come potenzialmente orientate a futuri tagli dei tassi, seppur in un contesto ancora incerto. Powell ha sottolineato come i rischi al ribasso per l’occupazione stiano aumentando: la domanda di lavoro rallenta e l’equilibrio con l’offerta di manodopera si indebolisce. Parallelamente, si osservano già gli effetti dei dazi sui prezzi al consumo, sebbene con incognite sul loro reale impatto nel tempo. La Fed ritiene che lo scenario più probabile resti quello di un rialzo dei prezzi una tantum, i cui effetti potrebbero manifestarsi gradualmente, senza tradursi in un ciclo prolungato di inflazione. In ogni caso, la Banca centrale americana vede oggi rischi divergenti: da un lato, pressioni al rialzo sui prezzi, dall’altro un mercato del lavoro in progressivo indebolimento. Una combinazione che potrebbe rendere necessario un aggiustamento della politica monetaria. L’operato della Fed è, nonostante le critiche del presidente Trump, uno degli elementi citati da S&P, nella sua nota sul debito Usa. S&P ha ribadito il rating a AA+ con outlook stabile, riconoscendo la resilienza dell’economia Usa, l’efficacia e la credibilità della politica monetaria e la capacità delle istituzioni di gestire una situazione fiscale complessa.
Sul fronte del commercio internazionale, la dichiarazione congiunta Usa-Unione europea ha illustrato in dettaglio il nuovo regime, con un’aliquota tariffaria massima e onnicomprensiva del 15% per la stragrande maggioranza delle esportazioni dell’Ue, compresi settori strategici come automobili, prodotti farmaceutici, semiconduttori e legname.
Proprio l’accordo sui dazi è stato uno dei temi toccati dalla presidente della Banca centrale europea: Lagarde ha riconosciuto che gli accordi commerciali con gli Stati Uniti hanno contribuito a ridurre parte dell’incertezza globale, ma non l’hanno eliminata del tutto. Non è tutto, però: ha segnalato un probabile rallentamento della crescita dell’area euro durante il terzo trimestre. Le nuove proiezioni macroeconomiche della Bce, attese a settembre, terranno conto degli sviluppi dell’intesa commerciale con gli Usa e quindi si potranno avere maggiori indicazioni anche sulle prossime mosse in tema di tassi d’interesse.
Parlando di Banche centrali e di tassi, la Cina, dal canto suo, ha scelto di mantenere invariati i tassi di interesse di riferimento per il terzo mese consecutivo: il Loan Prime Rate (LPR) a un anno resta al 3%, quello a cinque anni al 3,5%. È una decisione che riflette la cautela delle Autorità cinesi, impegnate a gestire dati economici deludenti senza ricorrere a stimoli monetari immediati. Piuttosto, Pechino sembra voler privilegiare interventi mirati sul mercato immobiliare e sui consumi, ad esempio con sussidi sugli interessi dei mutui e incentivi alla rottamazione. Tuttavia, gli operatori di mercato ritengono probabile che entro fine 2025 si assisterà a un taglio dei tassi, a conferma delle difficoltà con cui si confronta l’economia cinese.
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