La settimana delle obbligazioni: le mosse delle Banche centrali…

La settimana delle obbligazioni
La settimana delle obbligazioni
Le principali Banche centrali affrontano oggi un equilibrio delicato: frenare l’inflazione senza compromettere la crescita. Le decisioni più recenti mostrano approcci diversi, dettati dai contesti nazionali, ma legati dalle stesse sfide globali. Le decisioni prese negli ultimi mesi restituiscono l’immagine di un sistema finanziario frammentato, in cui ogni istituto si muove in base alle peculiarità del proprio contesto interno, pur restando collegato agli andamenti dei mercati internazionali.
Negli Stati Uniti, la Federal Reserve ha optato per un taglio dello 0,25%, portando i tassi tra il 4% e il 4,25%. È la prima riduzione da mesi, motivata da un’inflazione al 2,6% e un mercato del lavoro in affanno, con disoccupazione al 4,3%. Le attese dei mercati, e della Fed, indicano altri possibili tagli entro il 2026, ma le stime sull’inflazione restano elevate, segno di un equilibrio ancora fragile.
La Bank of Canada ha seguito la stessa direzione, riducendo i tassi al 2,5%. La scelta riflette la frenata dell’economia, con il Pil in calo dell’1,6% annualizzato e oltre 100.000 posti persi in pochi mesi. L’inflazione si è ridotta anche grazie alla rimozione di alcuni dazi, ma la Banca centrale non ha anticipato ulteriori mosse.
La Banca centrale dell’Indonesia ha sorpreso i mercati con un nuovo taglio dei tassi di interesse, portandoli al 4,75%. Le attese erano per un costo del denaro fermo al 5%. Si tratta del terzo intervento consecutivo nell’arco di un anno, segnale chiaro della volontà di sostenere la crescita economica del Paese, anche a costo di mettere sotto pressione la rupia.
Nel Regno Unito, la Bank of England ha lasciato invece i tassi invariati al 4%. Il Governatore ha avvertito che “non si è ancora fuori pericolo”: l’inflazione resta sopra l’obiettivo e la priorità rimane il contenimento dei prezzi. L’istituto ha ridotto anche il ritmo di contrazione del bilancio, da 100 a 70 miliardi di sterline l’anno, per evitare tensioni sui mercati. L’economia dà invece segnali contrastanti: Pil rivisto al rialzo allo 0,4%, il mercato del lavoro regge solo grazie ad interventi sul salario minimo.
In Brasile, la Banca centrale ha confermato i tassi al 15%, livello molto restrittivo pensato per consolidare i progressi sull’inflazione. Quest’ultima è scesa al 5,13%, ancora sopra l’obiettivo del 3%. I mercati prevedono possibili tagli solo dal 2026.
La Banca del Giappone ha mantenuto i tassi allo 0,5%, ma per la prima volta due membri hanno chiesto un rialzo. Parallelamente, è stato avviato un piano di smaltimento graduale delle enormi partecipazioni in Etf, accumulati negli anni di politica ultra-espansiva.
Infine, c’è l’eurozona. La Bce ha lasciato i tassi invariati due settimane fa, ma la scorsa settimana sono arrivati i dati sui salari. Dopo il picco registrato nel 2024, con una crescita dei salari negoziati che ha toccato il 5,2%, ora le previsioni della Bce indicano un netto rallentamento: si stima che la crescita resti sotto il 2% almeno fino al 2026. Questo dato è significativo, perché riflette un cambiamento importante nel contesto economico europeo, dove la pressione salariale – uno dei principali motori dell’inflazione – sembra finalmente attenuarsi.
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