Banca Popolare di Bari: Bankitalia in allerta
Banca d’Italia torna a puntare i riflettori sui conti di Banca Popolare di Bari: sarebbe infatti partita una nuova ispezione sul portafoglio di crediti detenuto dalla banca pugliese. Non è una buona notizia: è ancora presto per saperlo, ma l’esito di queste ispezioni potrebbe essere una nuova tornata di svalutazioni, e, di conseguenza, nuove perdite per il gruppo. Questa è solo la ciliegina sulla torta di una situazione che, anche prima di quest’ultima novità, era già complicata. Il gruppo ha da poco dovuto rimetter mano anche ai conti 2018 per “colpa” dei crediti “marci”: ha dovuto inserire nel bilancio ulteriori svalutazioni per 25 milioni di euro, facendo così salire la perdita 2018 dai 372 milioni annunciati a maggio ai 397 milioni dei dati pubblicati in questi giorni – oltre un terzo dell’intero patrimonio del gruppo! Questo ha avuto pesanti conseguenze anche sulla sua solidità patrimoniale: con questo ritocco dei conti 2018, il CeT1 è crollato dal 10,19% del 2017 al 7,52%, il Total capital ratio è passato dal 12,75% al 9,78%. Sono inferiori, e non di poco, ai livelli minimi di sicurezza chiesti da Banca d’Italia (8,828% per il CeT1, 11,146% per il Total Capital Ratio).
CeT1 e Total capital ratio indicano il rapporto tra i mezzi propri della banca e i rischi che si è assunta con la sua attività. Sono i due principali parametri che anche noi utilizziamo per valutare la solidità delle banche. Nella nostra valutazione, richiediamo un livello minimo del 9% per l’indice CeT1 e del 12,5% per il Total capital ratio – valori leggermente più severi, ma non troppo lontani, da quelli che Banca d’Italia ha richiesto a Banca Popolare di Bari e che, comunque, questa non soddisfa.
Il nostro giudizio sulla solidità di Banca Popolare di Bari è sospeso già da settembre 2017, quando emersero forti dubbi sulle modalità di acquisizione di Tercas (trovi maggiori dettagli qui). Anche dopo le ultime notizie il nostro giudizio rimane sospeso, così come rimane sospeso quello su Carige.
Incertezza sulle prossime mosse
A fronte di questa situazione, l’aumento di capitale da 500 milioni di euro di cui si parla da tempo diventa sempre più urgente, ma non sarà affatto facile riuscire nell’impresa (praticamente è tanto quanto il patrimonio attuale).
Oltre a questo, per risanare i conti il gruppo sta lavorando anche sulla cessione del 73,57% di Cassa di risparmio di Orvieto: in questi giorni è arrivata un’offerta da parte del fondo Sri Global, ma la cifra in ballo (si parla, anche se non ufficialmente, di 60 milioni) non è sufficiente a risanare, da sola, i conti della banca. Inoltre, la cessione priverebbe il gruppo di una “Spa” da poter utilizzare per un’eventuale fusione –Popolare di Bari è una delle poche popolari a non essersi ancora trasformata in Spa, come imposto dalle nuove normative. All’incertezza su questa cessione si aggiungono la necessità di cedere ulteriori crediti “marci” e la prospettiva di una svolta “storica” al vertice (l’attuale presidenza potrebbe lasciare il gruppo dopo 30 anni). Tanto che, proprio per definire meglio tutte queste operazioni in corso, la banca ha rinviato fino a metà luglio l’assemblea degli azionisti.
Qualche speranza dal fisco… basterà?
Insomma una situazione piena di incognite, a cui fa da contraltare una notizia positiva. Le Commissioni Finanze e Bilancio della Camera hanno approvato un emendamento al Decreto Crescita che consente a imprese e banche del Sud di ottenere uno “sconto fiscale” fino a 500 milioni di euro in caso di fusione. È una norma che non riguarda solo Banca Popolare di Bari, ma che certo le si attaglia a perfezione: una dote di questa portata rende un po’ più facile organizzare un matrimonio, anche quando la promessa sposa, come in questo caso, non è certo delle più attraenti. Ma a fronte di un bilancio in cui i crediti “marci” pesano ancora per un miliardo e mezzo, basterà la dote fiscale per trovare marito? Senza contare, poi, che la norma non è ancora definitiva: deve essere convertita in legge entro fine mese.
E Carige?
Se a Bari la nebbia è fitta, a Genova il clima non è certo più sereno. Anche Carige è in crisi da tempo, tanto da aver chiuso il 2018 con perdite per oltre 272 milioni di euro. Nonostante il puntello del bond da 320 milioni sottoscritto dalla parte “volontaria” del Fondo interbancario, al gruppo serve una forte iniezione di capitale per risanare i suoi conti. In altre parole: o si trova qualcuno disposto a investire cifre di questa portata, o l’ipotesi di liquidazione potrebbe non essere così lontana (l’Europa ha già fatto capire di essere contraria a eventuali interventi statali). Un mese fa sembrava vicina una soluzione, con un’offerta da parte del fondo Blackrock. Ma l’offerta, peraltro poco chiara (BlackRock avrebbe fatto solo da intermediario per altri soggetti, mai emersi), è poi sfumata, facendo saltare anche la conversione in azioni del bond sottoscritto dalle banche. Nei giorni scorsi è attivata una nuova offerta (non ci sono nomi ufficiali, ma si parla del fondo Apollo), ma a condizioni peggiori di quelle di BlackRock: se quest’ultima prevedeva un aumento di capitale complessivo da 720 milioni (un po’ meno della metà del capitale attuale), la nuova offerta si è fermata a 500 milioni (in entrambe le offerte, la cifra comprende la conversione dell’obbligazione in mano alle banche). Insomma, con questa seconda ipotesi il “salvataggio” sarebbe stato, in maggioranza, a carico delle banche e, solo in parte minoritaria, a carico di Apollo. Vero che, prima della sospensione in Borsa, Carige era arrivata a valere meno di 83 milioni di euro, ma non può certo dirsi un’offerta generosa. E infatti, da più parti è stata definita “irricevibile” e ora le ipotesi in pista sono due: o una modifica all’offerta di Apollo, o un intervento del fondo interbancario, che potrebbe formalizzare, ad ore, un piano alternativo. Ci auguriamo che alla fine il “salvataggio” vada a buon fine… ma a oggi non c’è nessuna certezza.
Da gennaio 2019 Carige è commissariata, cioè è gestita dai commissari nominati dalla Banca centrale europea e non più dal consiglio di amministrazione eletto dall’assemblea degli azionisti. Prima della sospensione di dicembre, il prezzo dell’azione Carige era sprofondato a 0,0015 euro (sì gli zeri sono giusti!). Insomma, ne servivano quasi 700 per pagarti un caffè, e l’intera (nobile) Carige valeva circa 83 milioni. A fine 2017, l’azione riusciva ancora a mantenersi sul prezzo di un centesimo, cioè 7 volte tanto. Per vederla toccare almeno i 10 centesimi, bisogna tornare indietro fino a inizio 2016…
Che fare?
Se sei azionista Carige, purtroppo non puoi che aspettare l’evoluzione, in positivo o in negativo, degli eventi: il titolo è sospeso dalle negoziazioni di Borsa dallo scorso dicembre. Se invece sei azionista di Banca Popolare di Bari, puoi provare a vendere le tue azioni sul mercato Hi-mtf, ma non farti troppe illusioni: le speranze di riuscirci sono quasi nulle.
Quando a giugno 2017 l’azione Banca Popolare di Bari è sbarcata sull’Hi-mtf, il prezzo iniziale è stato stabilito a 7,50 euro (già più basso degli oltre 9 euro a cui l’azione era stata piazzata ai clienti della banca negli anni precedenti). Il prezzo sull’Hi-mtf è poi stato via via ridimensionato, ora siamo a soli 2,38 euro. E ciò nonostante non si trovano acquirenti.
Hi-mtf non è un mercato ufficiale, ma è un sistema di negoziazione di proprietà di alcune banche. Te lo abbiamo sempre sconsigliato per la mancanza di liquidità, e il caso delle azioni Banca Popolare di Bari lo conferma: sia nel mese di maggio, sia nel mese di giugno, c’è stato un unico scambio di 100 azioni per un controvalore di 238 euro. E nei mesi precedenti è andata poco meglio.
Se non sei azionista, ma hai dei bond di queste due banche, vendili, a patto che siano negoziati: i rischi sono troppo elevati rispetto al rendimento.
E se sei correntista? I casi passati hanno dimostrato che anche in situazioni di forte difficoltà il “sacrificio” dei correntisti (che secondo le norme sul bail-in possono contribuire a ripianare le perdite con la parte del conto che eccede i 100.000 euro) viene considerato come ipotesi da ultimissima spiaggia, finora mai attuata in Italia.
È anche vero, però, che i conti di Carige sono, in media, piuttosto cari: andando altrove puoi trovare di meglio. Nel caso di Banca Popolare di Bari, l’unico degno di nota è Conto Quick che, se usato online, ha condizioni discrete, ma tutto sommato né più né meno di quelle di molti altri conti online. Se ti guardi intorno, con l’aiuto del selettore che trovi sul sito di Altroconsumo, non ci perdi nulla.