Litigation crowdfunding

Litigation crowdfunding.
Litigation crowdfunding.
Nel panorama contemporaneo della finanza alternativa, l’idea che non solo le startup, ma anche le cause legali possano essere finanziate collettivamente online sta guadagnando attenzione: questo fenomeno è noto come litigation crowdfunding. In sintesi, consiste nel permettere a un soggetto che vuole intraprendere un’azione giudiziaria, o anche difendersi, di raccogliere risorse (spesso modeste da ciascun sostenitore) attraverso una piattaforma online, per coprire spese legali, consulenze, perizie, depositi, e altri costi correlati al procedimento giudiziario.
Le modalità di sostegno: donation based e reward based
Nel dibattito su come strutturare queste campagne si distinguono principalmente due modelli: donation based e investment based. Nel modello donation based, i contribuenti (donatori) non si aspettano alcun ritorno finanziario: donano per convinzione, solidarietà, per supportare una causa di interesse pubblico o perché credono nella legittimità della controversia. È simile a una raccolta fondi per cause sociali: chi partecipa non diventa creditore né azionista del ricorrente.
Nel modello investment based, al contrario, chi contribuisce riceve un incentivo o una ricompensa legata all’esito del contenzioso: può trattarsi di un premio predeterminato (in tal caso si parla di reward based, più che di investment based), di una percentuale del risarcimento ottenuto o di altri benefici economici. In altre parole, questi soggetti agiscono come investitori terzi che assumono un rischio: se la causa va male, perdono; se va bene, ottengono un guadagno proporzionale all’impegno. Questo modello si avvicina al concetto di third-party litigation funding (finanziamento esterno alla lite), ma distribuito fra molti piccoli soggetti invece che da un grande fondo.
Il modello investment based è più complesso dal punto di vista regolatorio ed è rischioso per l’investitore, perché implica che la piattaforma o il promotore delinei chiaramente in che misura si partecipa alla contesa, come vengono calcolate le commissioni, come si distribuisce il risultato netto, quali costi verranno dedotti, e come gestire eventuali perdite.
Esempi e casi internazionali
Per approfondire il modello del litigation finance è utile guardare alcuni casi concreti nel panorama internazionale. Nel mondo anglosassone esistono piattaforme specializzate che offrono opportunità di investimento in contenziosi commerciali: tra queste, LexShares è un esempio noto. Si tratta di una piattaforma statunitense che mette in contatto investitori accreditati con cause commerciali (come dispute contrattuali, casi di responsabilità professionale o violazioni di diritti di proprietà intellettuale) e consente loro di acquistare quote del contenzioso, con un rendimento potenziale legato all’esito del caso.
Anche la piattaforma CrowdJustice, nata nel Regno Unito, è un esempio significativo nel campo del crowdfunding legale, ma utilizza un modello basato sulla donazione. Opera raccogliendo fondi per un'ampia varietà di casi, da quelli di interesse pubblico a controversie private. Una sua caratteristica fondamentale, a garanzia di trasparenza, è che i fondi raccolti vengono trasferiti direttamente al conto fiduciario dell'avvocato che segue il caso, per assicurare che le somme siano utilizzate esclusivamente per le spese legali.
Un’ esperienza, citata nella letteratura accademica, riguarda la piattaforma Invest4Justice, che operava con un modello peer-to-peer di litigation crowdfunding e combinava elementi donation e investment. La piattaforma, attiva dal 2014, permetteva agli investitori di finanziare cause in cambio di una parte del risarcimento, a condizione che la causa avesse successo. Tuttavia, pare che oggi non sia più operativa o quantomeno non sia chiaro quale sia il suo stato attuale. L’esperienza di Invest4Justice suggerisce le difficoltà pratiche di sostenere nel tempo piattaforme di questo tipo: il contenzioso è lungo, illiquido e soggetto a rischi elevati, il che rende complicato mantenere fiducia degli investitori, gestione dei flussi e compliance normativa.
Le class action, per chiarire, sono procedimenti giudiziari in cui un singolo o pochi soggetti agiscono in nome di una classe più ampia di persone che hanno subito lo stesso danno (o uno simile) da un soggetto comune. In queste azioni collettive, gli esiti (risarcimenti, accordi) si distribuiscono tra gli aderenti alla classe, e spesso chi coordina l’azione (il class representative) riceve un premio o compenso addizionale rispetto alla quota standard (c.d. incentive award), pur se recentemente in alcuni ordinamenti sono state impugnate queste pratiche per presunta violazione dei principi di equità.
Il problema italiano: assenza regolatoria e rischi per gli investitori
Passando all’Italia, la situazione del litigation crowdfunding appare oggi ancora embrionale, e tutt’altro che consolidata. Un primo ostacolo è l’assenza di una normativa che disciplini esplicitamente le campagne reward-based di cause legali. Offrire un “investimento” in una controversia giudiziaria potrebbe in teoria configurare l’offerta di strumenti finanziari, soggetti a regole severe (es. prospetto, autorizzazioni), se il contributore acquisisse diritti su flussi futuri. Se non si dispone di una dotazione regolamentare ad hoc, si corre il rischio di incorrere in reati o sanzioni per raccolta illecita di capitali.
Anche dal punto di vista dei principi etici forensi, l’avvocato non può permettere che i sostenitori influenzino le scelte strategiche del contenzioso; il promotore della raccolta deve garantire trasparenza, non promettere esiti certi e non confondere il contributore con un soggetto decisionale. In alcuni modelli donation based queste criticità sono minori, perché non c’è promessa di ritorno, ma il modello reward le accentua.
Un’altra questione riguarda le class action: l’Italia ha recepito per alcune materie la disciplina europea sulle azioni collettive (ad esempio per consumatori), ma l’idea di class action in senso anglosassone “mass tort” è meno sviluppata. Ciò significa che proporre campagne reward-based su class action potrebbe confliggere con le regole processuali, con vincoli sul rapporto tra aderenti e promotori, con obblighi di informazione o con la vigilanza delle autorità giudiziarie.
Di esperienze italiane si segnala solo che Opstart, piattaforma già attiva nei settori equity e lending crowdfunding, ha annunciato nel 2023 la creazione di una divisione Crowdlegal, per finanziare cause legali con strumenti partecipativi (reward) in favore di PMI. In pratica, Opstart aveva proposto di valutare cause di almeno 250.000 euro e permettere agli investitori di partecipare alla causa. Il sostegno normativo è venuto dal Regolamento europeo sul crowdfunding (ECSP, Reg. UE 2020/1503), che ha consentito alle piattaforme autorizzate di sviluppare nuovi modelli di raccolta capitali (anche partecipativi) in tutta l’Unione europea. Tuttavia, non risulta che l’iniziativa Crowdlegal abbia avuto fino ad oggi campagne concluse con successo o visibilità pubblica significativa: non è noto che cause siano state effettivamente portate avanti con investitori esterni e su cui si siano avuti esiti.
Questo silenzio dell’esperienza italiana indica quanto il contesto sia ancora fragile: serve non solo un inquadramento regolatorio chiaro, ma anche infrastrutture legali, modelli di valutazione del merito, meccanismi di garanzia per i fondi, trasparenza nei criteri e responsabilità nei rischi.
Considerazioni finali: opportunità, rischi e prospettive
Il litigation crowdfunding, specie nella sua versione investment based, rappresenta una frontiera interessante, ancorché di fatto inesplorata: potrebbe offrire la possibilità di democratizzare l’accesso al contenzioso, permettere a soggetti deboli di sfidare controparti più forti, e al contempo trasformare i contenziosi in asset finanziabili. Tuttavia, anche qualora si dovessero implementare soluzioni di questo genere si tratterebbe investimenti ad alto rischio: la causa può fallire, subire ritardi, essere ridotta in sede di appello o essere oggetto di costi imprevisti che erodono il guadagno. La natura illiquida del capitale, l’incertezza giudiziaria, i conflitti di interesse e la mancanza di precedenti consolidati renderebbero essenziale che ogni potenziale investitore faccia molta attenzione. In Italia, al momento, mancano ancora chiarezza normativa (es. sui limiti all’offerta partecipativa di cause legali), ruolo attivo dei regolatori (avvocatura, autorità di vigilanza), standard etici per avvocati e piattaforme, e qualche esperienza pilota concreta che possa dimostrare che il modello può funzionare. Solo successivamente si potrebbe valutare con maggiore fiducia se il litigation crowdfunding potrebbe diventare un “strumento di investimento” aggiuntivo nel panorama della finanza alternativa italiana. Al momento resta perlopiù una curiosità intellettuale con cui guardare con un nuovo sguardo alle potenzialità (teoriche) del crowdfunding che ancora non sono state esplorate, ma che potrebbero esserlo in futuro.
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