Oro: il rally dei record

Tensioni geopolitiche, tassi in calo e debolezza del dollaro spingono le quotazioni.
Tensioni geopolitiche, tassi in calo e debolezza del dollaro spingono le quotazioni.
L’oro sta attraversando uno dei momenti più intensi degli ultimi anni. Le quotazioni sono arrivate a lambire i 4.200 dollari l’oncia, superando sempre nuovi record, in una corsa che ha riportato l’oro al centro delle strategie di copertura e dei portafogli globali. Ma capire perché è salito è il primo passo per valutarne la solidità.
Tre grandi forze spiegano l’ascesa. La prima è l’incertezza geopolitica. Le tensioni tra Stati Uniti e Cina, le fragilità del commercio globale e l’instabilità politica in varie aree del mondo hanno alimentato una corsa verso gli asset rifugio. Nei momenti di paura collettiva, l’oro torna a essere la “valuta della fiducia”. La seconda è la prospettiva di un addolcimento dei tassi. Con la Federal Reserve e altre banche centrali orientate verso una politica monetaria più morbida, il costo implicito di detenere oro (che non dà interessi) rischia di ridursi. Un contesto di tassi bassi spinge gli investitori a cercare valore dove non serve rendimento: nei beni reali. La terza è la debolezza del dollaro. Il biglietto verde, sotto pressione per squilibri fiscali e per l’attesa di tagli dei tassi, ha perso terreno rispetto alle principali valute. Poiché l’oro è quotato in dollari, la sua debolezza ha reso il metallo più conveniente per chi compra in euro, yuan o yen, rafforzandone la domanda.
A queste forze si aggiungono flussi record di capitali verso gli ETF che investono in oro e una rinnovata presenza degli investitori istituzionali. In un mondo incerto e iper-finanziarizzato, l’oro è tornato a rappresentare stabilità, ma anche speculazione: un bene rifugio con la velocità di un asset rischioso.
Le ombre del breve periodo
Eppure, l’entusiasmo nasconde alcune fragilità. L’oro non è immune da oscillazioni, e anzi la sua volatilità di breve periodo è spesso sottovalutata. Storicamente, anche dopo fasi di forti rialzi, l’oro ha conosciuto lunghi periodi di stagnazione o calo, mettendo in discussione la sua capacità di proteggere il capitale in ogni contesto.
Investire quando le quotazioni si trovano su massimi storici aumenta il rischio di entrare nel mercato poco prima di una correzione. È un rischio di breve periodo, non strutturale: basta un miglioramento dei dati macro, una dichiarazione più rigida della Fed o una distensione geopolitica perché le prese di profitto scattino in modo sincronizzato. I mercati, specie quelli trainati da emozioni e narrativa, raramente offrono parabole senza oscillazioni.
Un altro elemento di attenzione è la correlazione inversa con il dollaro. Finché la valuta americana resta debole, l’oro beneficia di vento in poppa; ma un’inversione — ad esempio per un’economia USA più forte o rendimenti reali in risalita — potrebbe spingere molti operatori a rivedere le proprie posizioni. E in un mercato affollato di ottimismo, anche un piccolo cambio di scenario può bastare per provocare onde di volatilità. Certo restano i forti acquisti delle Banche centrali di cui abbiamo parlato più volte in passato.
L’equilibrio dell’investitore
Nel medio-lungo periodo, la logica che sostiene l’oro rimane valida: è una copertura contro inflazione, rischio politico e perdita di potere d’acquisto. Ma sul breve serve disciplina. Ribadiamo che chi ci segue da tempo dovrebbe già avere una consistente dose di oro in portafoglio e il consiglio su Invesco physical gold (343,81 euro al 14/10; Isin IE00B579F325) resta mantieni. Per chi dovesse iniziare ora a crearsi una riserva d’oro il momento di entrata non sembra dei più opportuni se lo scopo è solo quello di ottenere forti guadagni, anche se non sono esclusi altri balzi. Di recente abbiamo, però, parlato del settore oreficeria. Le difficoltà del comparto orafo non intaccano il valore dell’oro come asset, ma evidenziano come la componente finanziaria stia progressivamente prevalendo su quella industriale e decorativa: l’oreficeria nel 2024 aveva pesato oltre il 40% dei consumi di oro, e quello industriale, meno del 10%, ma insieme sommati siamo a metà uso dell’oro. Sono squilibri che aprono pur sempre scenari nuovi.
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