Tra guerra, pace e inflazione

Analisi
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Le ragioni della tensione
Due i temi che hanno tenuto banco sui mercati in settimana. Il primo è quello di un conflitto in Ucraina, che pesa per le ripercussioni in termini di rialzo generale dei prezzi dell’energia. La questione è particolarmente sentita in Europa, con diverse imprese che, oltre al rialzo dei prezzi, potrebbero dover subire anche dei tagli alle forniture di energia da parte della Russia: nello scenario peggiore, potrebbero essere costrette a bloccare le loro attività. Per tutta la settimana si sono alternate voci su un rasserenamento della situazione ad altre di un imminente attacco e i mercati hanno alternato fasi di euforia ad altre di sconforto. Il secondo tema fondamentale per i mercati resta quello dell’andamento dei tassi d’interesse. Gli approcci sembrano essere completamente diversi tra i vari Paesi: negli Usa, dopo i dati sui prezzi alla produzione più elevati delle attese, si è ulteriormente rafforzata l’aspettativa di rialzi robusti, in Europa, complice la crisi sul fronte energetico, la Banca centrale sembra volersi muovere con più gradualità rispetto agli Usa (anche se i segnali di rialzo non mancano certo, in Cina, infine, la crescita dei prezzi è a ritmi talmente blandi (per i loro standard) che si valutano manovre espansive, con la Banca centrale che ha già fatto in settimana le prime iniezioni di liquidità. Uno scenario complesso che acuisce il nervosismo dei mercati: noi confermiamo le nostre strategie d’investimento.
Il fermento delle banche italiane
La Banca centrale europea ha confermato che l’Italia sarebbe uno dei Paesi più colpiti dall’esplosione di un conflitto in Ucraina e da eventuali tagli di forniture di energia. Non sorprende che in una situazione come questa i titoli delle nostre banche, che sono la cinghia di trasmissione della crescita economica, in un paio di giornate in cui si sono riacuiti i timori di un conflitto hanno registrato ribassi medi superiori al 2%. In particolare, Unicredit (14,63 euro; Isin IT0005239360) è un gruppo presente, e quindi, esposto (moderatamente) alla Russia, non sorprende perciò che le sue azioni abbiano chiuso la settimana in calo del 6,7%. Il consiglio non cambia: vendi. Ci sono state, però, anche giornate di euforia per le banche italiane, causate dalla speranza di “matrimoni” tra i vari istituti di credito. A rilanciarle, la sigla del contratto con cui Bper (2,06 euro; Isin IT0000066123) rileverà Carige (0,79 euro; Isin IT0005428195). Sulla carta, l’accordo è favorevole a Bper, che paga 1 solo euro per tutto l’80% circa di Carige, ma i benefici effettivi derivanti dall’integrazione saranno tutti da verificare: non per nulla le azioni Bper, pur contenendo il calo rispetto ad altre colleghe, hanno comunque chiuso sostanzialmente invariate. Non le acquistare. Limitato il rialzo delle Carige (+1,8%) che già da giorni oscillano intorno al prezzo che Bper pagherà ai piccoli azionisti in possesso di queste azioni (0,80 euro). Se hai azioni Carige ti consigliamo di venderle: o lo fai subito, al prezzo di mercato, o aspetti il lancio ufficiale dell’offerta e aderisci a questa. In questo secondo caso non pagherai commissioni di vendita alla tua banca, ma dovrai aspettare ancora parecchi mesi per liberarti delle azioni (l’operazione dovrebbe concludersi in estate e in finanza il tempo è denaro). Scegli tu sulla base delle commissioni che ti applica la tua banca.
Tra gli altri istituti europei esposti alla Russia c’è Société Générale (32,37 euro; Isin FR0000130809) le cui azioni, infatti, hanno chiuso la settimana in calo del 10%. Per il momento, però, confermiamo il nostro consiglio che tiene conto delle prospettive generali del gruppo (la Russia pesa per circa il 5% dei ricavi): mantieni.
Sembra invece un po’ raffreddarsi la prospettiva del lancio di un’offerta d’acquisto su Banco Bpm (3,58 euro; Isin IT0005218380) da parte di Unicredit. Le azioni Banco Bpm hanno chiuso a +0,9%. Vendi. Nessuna novità sul “matrimonio” di Mps (0,94 euro; Isin IT0005218752), che in settimana ha dovuto smentire le indiscrezioni di un aumento di capitale superiore al previsto. Le azioni hanno perso il 10,1% e il consiglio non cambia: vendi.
Gli impatti della crisi energetica
Il fatto che la crisi energetica possa avere effetti sulle spese dei consumatori sembra trapelare dalle parole dei vertici del colosso della distribuzione Ahold Delhaize (27,09 euro; Isin NL0011794037). Il gruppo ha chiuso il 2021 con risultati migliori del previsto (utile per azione di 2,18 euro), ma si è mostrato cauto nelle previsioni per l’anno in corso, con un utile per azione che, escluse le componenti straordinarie, dovrebbe rimanere stabile, se non addirittura diminuire del 5%. Il mercato è rimasto spiazzato e le azioni hanno perso il 7,2%. Secondo noi, però, si tratta di un’eccessiva prudenza: abbiamo solo limato le nostre stime sugli utili per azione (2,20 euro nel 2022 e 2,27 euro nel 2023) e il nostro consiglio non cambia. Acquista. A beneficiare della crisi, invece, potrebbero essere le società che ti vendono elettricità e gas – a patto, però, che possano trasferire il rincaro energetico sulle tue bollette. Engie (14,48 euro; Isin FR0010208488) fa questo di mestiere e ha chiuso bene il 2021 proprio grazie al rincaro delle bollette. Ora si aspetta che la crescita continui anche nel 2022-2024. Le cessioni di attività non strategiche contribuiranno non solo a ridurre l’indebitamento, ma libereranno risorse per gli investimenti – entro il 2025 50 gigawatt di capacità energetica installata nelle rinnovabili dai 34 gigawatt di fine 2021. Alziamo le stime sugli utili del gruppo e riteniamo che l’azione, che ha chiuso la settimana in calo dello 0,4%, sia ancora sottovalutata. Acquista.Attendi, stiamo caricando il contenuto