Eurovision e la rivincita della musica
16 giorni fa - venerdì 13 maggio 2022
Eurovision
La rinnovata forza dell’industria musicale
Nonostante lo stop forzato ai concerti, l’industria musicale ha continuato a progredire anche durante la pandemia, registrando nel 2021 il maggior giro d’affari dal 1999. L’economia della musica, che soprattutto nella prima decade degli anni 2000 sembrava in crisi nera, piegata dal calo delle vendite di dischi e cd e dal fenomeno della pirateria musicale, ha ritrovato negli ultimi anni una nuova giovinezza grazie ai servizi di streaming online, ovvero alla possibilità di ascoltare la musica che più ti piace, quando più ti piace anche dal tuo telefonino. L’inversione di tendenza è iniziata nel 2015 e tra il 2015 e il 2020 il giro d’affari dell’industria discografica mondiale è cresciuto a un ritmo dell’8,2% medio annuo (ben superiore ai tassi di crescita dell’economia cinese, tanto per intenderci), toccando un picco di progresso del 18,2% solo nel 2021. Se le vendite di dischi e cd rappresentavano il 100% dei ricavi dell’industria discografica nel 1999, oggi pesano per poco meno del 20% del giro d’affari complessivo, con i ricavi legati ai servizi di streaming che rappresentano il 65% dei ricavi totali. Grazie al progressivo allentamento delle restrizioni legate alla pandemia e alla ripresa dei concerti, grazie alla ritrovata forza di manifestazioni come l’Eurovision song contest e grazie alle nuove opportunità di guadagno, derivanti, per esempio, dall’utilizzo di canzoni nei video di TikTok o di altre piattaforme social, le prospettive dell’industria della musica sembrano ancora rosee. Come investirci? Passiamo in rassegna le principali azioni del settore che sono quotate in Borsa e vediamo se vale la pena acquistarle.
I dati di sistema riportati nell'articolo sono quelli dell’ultimo rapporto disponibile della IFPI, la Federazione internazionale dell’industria fonografica, una sorta di Confindustria mondiale del mondo della musica.
L’Eurovision è tornato attrattivo per il mondo della musica grazie all’attenzione prestata dai giovani – share televisivo di oltre il 50% nella fascia dai 15 ai 24 anni e 71% di fruizione di contenuti online nella fascia 18-34 anni (dati del 2021, si attendono quelli globali dell’edizione 2022).
I protagonisti dello streaming online
Spotify (97,08 Usd; Isin LU1778762911). Come abbiamo detto lo streaming online ha resuscitato l’industria musicale e la piattaforma più importante di streaming è quella della svedese Spotify, coprendo circa un terzo dello streaming globale di musica. Spotify fa principalmente i soldi in due modi: primo con la pubblicità che ascolti se utilizzi la piattaforma in modo “gratuito”, secondo, e più importante, con gli abbonamenti mensili degli utenti “premium”. Sebbene anche nel corso del primo trimestre del 2022 questi siano saliti in modo robusto (+15%), gli introiti non bastano a compensare i costi che la piattaforma deve sostenere – su tutti il pagamento dei diritti d’autore agli artisti e alle case discografiche che li rappresentano, oltre a quelli tecnologici e di pubblicità – e il gruppo ha chiuso il trimestre con una perdita già a livello industriale. Purtroppo non è una novità e nonostante l’aumento degli utenti negli ultimi anni, Spotify non ha mai chiuso un bilancio in utile. Temiamo che con la crescente concorrenza – dai servizi di Apple a quelli di Youtube – questa tendenza possa confermarsi nel breve termine. Nonostante il tracollo registrato negli ultimi mesi – le azioni viaggiano sui minimi storici dalla quotazione – riteniamo, dunque, l’investimento in queste azioni troppo rischioso. Non acquistare.
Tencent Music Entertainment (3,89 Usd; Isin US88034P1093). È uno dei colossi dello streaming di musica in Cina e, a differenza, di Spotify ha già chiuso dei bilanci in utile. Le prospettive di crescita del mercato asiatico sono buone e gli indicatori di convenienza del titolo non sono nemmeno così malvagi, ma ci sono due grandi incognite che potrebbero continuare a pesare sull’andamento del titolo: primo, la stretta del governo cinese sulle azioni del settore tecnologico (di fatto i fornitori di streaming sono per lo più dei fornitori di tecnologia), che potrebbe riacutizzarsi; secondo, il rischio di una stretta delle autorità americane sulle società cinesi, che potrebbe portare le azioni a essere ritirate dagli scambi a New York, forzando le vendite di diversi investitori. Per questo, nonostante anche queste azioni siano sui minimi storici, non ne consigliamo l’acquisto.
Sirius XM Holdings (5,99 Usd; Isin US82968B1035). La società, acquistando il servizio di streaming Pandora, è diventata una delle più importanti del settore negli Usa. Il punto di forza della sua offerta è, però, rappresentato da una serie di servizi radio satellitari, che quindi prevedono oltre alla musica anche commenti di eventi sportivi e di eventi di vario genere, fruibili nelle auto. La società sta investendo molto affinché i suoi servizi siano sempre più accessibili da tutte le auto vendute negli Usa e la corsa alla mobilità “individuale” determinata dalla pandemia ha fatto sì che le azioni si muovessero in controtendenza rispetto a quelle dei concorrenti precedentemente citati. Nonostante questo, le azioni non hanno indicatori di convenienza malvagi, ma in anche in questo caso ci sono due rischi rilevanti: primo, una recessione potrebbe portare a una contrazione delle vendite di auto negli Usa, fatto che la società pagherebbe in modo pesante; secondo, il rapporto tra debiti e utile industriale è abbastanza elevato (circa 3,5) e il fatto che la società abbia un “valore contabile” negativo – quanto resta se si vendono tutte le attività e si pagano i debiti ai valori di bilancio – non ci piace e potrebbe portare il gruppo a un aumento di capitale. Per questo, anche in questo caso non ti consigliamo di comprare le azioni.
Youtube fa parte dell’universo di Alphabet (2.256,88 Usd, Isin US02079K3059; di cui fa parte Google) e Apple Music, come dice il nome stesso, di quello del gigante dei telefonini (e non solo) Apple (142,56 Usd; Isin US0378331005). Essendo realtà così diversificate, non sono interessanti per una scommessa secca sull’industria musicale.
La vendita dei biglietti per i concerti
Live Nation Entertainment (87,09 Usd; Isin US5380341090). La società americana possiede una delle piattaforme più importanti per la vendita dei biglietti dei concerti e di altri eventi – ticketmaster.com. Ovviamente i conti della società sono stati particolarmente colpiti dalla pandemia, ma ora con la rimozione delle restrizioni in numerosi Paesi, il gruppo è tornato a macinare buoni risultati. I conti del primo trimestre del 2022 sono stati sorprendenti, con introiti superiori del 33% rispetto al primo trimestre del 2019 (pre-pandemia). Il 2022 dovrebbe vedere, dunque, un ritorno all’utile per azione, che, visto il livello delle prenotazioni per i futuri eventi e le progressive riaperture, potrebbe raddoppiare nel 2023. Attenzione, però: queste prospettive sono già incorporate dai prezzi dell’azione che, non per nulla, con le prospettive di un rallentamento economico – che potrebbe ridurre le spese per i concerti – ha ripiegato nel corso delle ultime settimane (circa -27% nel 2022). Anche in questo caso non acquistare le azioni.
Un Etf sulla musica?
Non abbiamo scovato Etf che puntino esclusivamente sulle azioni legate alla musica – ce ne sono alcuni legati al mondo dell’intrattenimento che, però, può avere altre dinamiche. Come fondi comuni esiste quotato a Londra Hipgnosis Song Fund (114,8 pence; Isin GG00BFYT9H72), che, però, in fondo fa quasi l’attività di una casa discografica – acquisisce, infatti, i diritti d’autore dei grandi artisti – ma con la complicazione, per te investitore italiano, di essere un fondo – pur volendo la tua banca verosimilmente non ti farà comprare le quote per mancanza di un prospetto informativo adeguato, e se lo fai tramite piattaforme estere dovrai gestire poi tu la fiscalità complessa. Non acquistare.
Le grandi case discografiche
Universal Music Group (20,09 euro; Isin NL0015000IY2) e Warner Music Group (28,77 Usd; Isin US9345502036). Le presentiamo abbinate perché sono due delle case discografiche più importanti al mondo. La prima ha sotto contratto artisti come Taylor Swift e Justin Bieber, la seconda Ed Sheeran e Bruno Mars. Per entrambe il modello di attività è lo stesso: gli incassi derivano prevalentemente dai diritti legati agli ascolti delle canzoni dei propri artisti sulle piattaforme di streaming (oltre che dalle vendite legate a concerti, magliette, vinili e cd… ma sono tutte voci, ormai, meno rilevanti) e con tali soldi si pagano le spese legate alla gestione degli artisti (a partire dalla produzione degli album). Sono, quindi, all’inizio della “catena” dell’industria musicale e hanno potuto, così, approfittare in pieno della crescita del mercato: nonostante lo stop ai concerti, l’utile industriale finale del 2021 è risultato per Warner superiore di circa il 68% rispetto a quello del 2019 e superiore di circa il 35% per Universal. I rischi sono due: primo, la sempre più diffusa possibilità degli artisti di presentare i propri lavori in modo indipendente sulle piattaforme di streaming; secondo, un calo degli ascolti della musica in streaming, dopo il “boom” registrato durante la pandemia. I conti del primo trimestre 2022 hanno mostrato che la Universal sembra reggere meglio in termini di ascolti (grazie anche a gruppi come i BTS, che sono stati i più ascoltati nel 2021) rispetto a Warner – e questo spiega il calo brusco di queste azioni dopo la presentazione dei conti. Per questo, sebbene gli indicatori di convenienza siano leggermente peggiori rispetto a quelli di Warner, le azioni Universal sono quelle che meritano una scommessa: la percentuale di utilizzatori di servizi di streaming sui cellulari è ancora tutto sommata bassa in diversi Paesi e il gruppo sta investendo per allargare il catalogo sia con artisti nei Paesi emergenti, sia con artisti già consolidati. È una scommessa riservata a chi sa di poter aspettare un po’ per vedere i ritorni dell’investimento e sa che in caso di prolungata crisi economica c’è il rischio di incorrere in perdite anche pesanti. Le azioni si comprano sulla Borsa di Amsterdam.
La piattaforma di streaming di Tencent Music Entertainment si chiama QQ Music, ma la società lavora anche come sviluppatore tecnologico per la fruizione di musica su vari dispositivi (comprese le automobili).
Solo in questo avvio di 2022, le azioni Spotify hanno perso in Borsa il 59%, quelle di Tencent Music Entertainment il 43%, mentre le Sirius XM Holdings hanno contenuto il calo al 6%, inferiore al -28% medio delle azioni del settore tecnologico, al -24% delle azioni dell’universo dell’intrattenimento e al -17% medio delle azioni mondiali.
In Italia è molto popolare Ticketone, che fa parte del gruppo tedesco CTS Eventim (61,3 euro; Isin DE0005470306): le riflessioni fatte per Live Nation Entertainment sui rischi valgono anche per queste azioni le cui prospettive sono, al più, correttamente valutate in Borsa. Non ti suggeriamo di acquistarle.
L’altra grande casa discografica è la Sony Music, che però rappresenta solo una fetta del colosso giapponese Sony (10.790 yen; Isin JP3435000009) della tecnologia. Per questo non sono azioni adatte per una scommessa relativa all’industria musicale.
Le azioni della musica hanno sofferto la crisi economica
Dal momento della loro quotazione in Borsa, avvenuta nello scorso autunno, le azioni Universal Music Group (grassetto; base 100) si sono comportate peggio del resto delle azioni mondiali (linea di peso intermedio). Non sorprende, essendo la musica un bene “voluttuario” che può essere ridotto in tempi di crisi economia. Ancora peggio si sono comportate le azioni Spotify (linea sottile), i cui conti sono storicamente in rosso.
I dati nel grafico sono in euro e a dividendi inclusi. Sono forniti, come altri dati di bilancio riportati nell’articolo da Refinitiv.