La COP29, la Conferenza delle Nazioni Unite sul clima, si era aperta con pessimi presagi. La sede della Conferenza, l’Azerbaigian, aveva già fatto storcere il naso a non pochi, dato che il Paese ospitante è uno dei maggiori produttori ed esportatori di idrocarburi. Successivamente, i lavori si erano aperti con le defezioni e le mancate partecipazioni di diversi leader mondiali e con l’elezione di Trump come presidente Usa e con la sua volontà di abbandonare gli accordi di Parigi.
Come già capitato in passato, le negoziazioni si sono protratte ad oltranza per trovare un accordo, che alla fine è arrivato, ma è stato deludente per molti e nei fatti insufficiente per centrare gli obiettivi necessari per combattere la crisi climatica.
L’ACCORDO
L’accordo finale contiene un invito ai Paesi ricchi di arrivare a versare nei confronti di quelli poveri 1.300 miliardi di dollari (circa 1.250 miliardi di euro) l’anno. Il problema è però che l’accordo prevede che i Paesi più ricchi e avanzati garantiranno soltanto 300 miliardi di dollari all'anno entro il 2035 alle nazioni più povere nella forma più necessaria e utile: contributi e prestiti con bassi interessi. E i restanti 1.000 miliardi? Non si sa ancora come saranno raccolti e se sarà fatto non è del tutto certo. Per esempio: arriveranno dai privati – intesi come finanziatori ed aziende? Da tasse su attività inquinanti? O altro ancora? Non si sa e soprattutto sono tutte fonti di finanziamento che devono essere non solo stanziate, ma ancora ricercate ed ideate. C'è poi anche un accordo per creare un nuovo mercato dei crediti di carbonio.
PERCHÉ È UNA DELUSIONE
Dunque, l’accordo è deludente perché solo una parte dei soldi da destinare ai Paesi più colpiti dal cambiamento climatico è garantita – ed è solamente un quarto della cifra totale. Sono poi arrivati segnali deboli sulla necessità di accelerare l’azione sul legame clima e natura.