La causa comune delle scarse performance dei mercati obbligazionari e azionari è l'inflazione. Per il mercato obbligazionario, l'impatto negativo dell'inflazione non è certo una sorpresa: è sempre stata il suo nemico giurato. Acquistando un'obbligazione e mantenendola fino alla scadenza, l'investitore sa quale sarà il suo rendimento ma solo in termini nominali (inflazione esclusa). D'altra parte, durante tutta la durata del bond, l'eventuale aumento dei prezzi al consumo non fa che erodere il valore del capitale immobilizzato che, una volta recuperato, avrà un potere d'acquisto inferiore a quello di partenza. In condizioni normali, gli interessi percepiti compensano i mancati guadagni e lasciano all'investitore un rendimento ancora interessante. Negli ultimi anni, però, le obbligazioni sono state negoziate a tassi d’interesse ridicolmente bassi o addirittura negativi. L'inflazione è quindi particolarmente dannosa e erode il valore di questi titoli. E ciò è ancora più vero se si considera che le Banche centrali prevedono di aumentare ancora i tassi di interesse e di lasciarli a lungo a livelli elevati.
Di conseguenza, anche i bond di alta qualità (e di lunga durata) sono sottoposti a forti pressioni. Lo dimostrano le obbligazioni a 100 anni emesse dallo Stato austriaco nel 2020. Partendo da una cedola iniziale dello 0,85%, il tasso su queste obbligazioni si avvicina ormai al 2,3%, ma un tale adeguamento, per un periodo così lungo, non è facile da realizzare. Risultato, gli investitori che hanno acquistato questo bond AA+ durante la seconda metà del 2020, a circa 130 euro per azione, se ne stanno attualmente sbarazzando... a circa 45 euro, con una perdita di circa 2/3 del capitale iniziale, una perdita che, in generale, è associata ad attivi rischiosi e non ad obbligazioni di alta qualità.
Anche le azioni sono sitti pressione
In condizioni normali, i mercati azionari sono più adatti ai periodi di alta inflazione. Lo dimostrano tutta una serie di Paesi emergenti, in cui, quando l'inflazione diventa importante, gli investitori cercano rifugio nelle Borse. Il loro ragionamento è semplice: le aziende sono in grado di adattarsi meglio a una tale congiuntura, perché sono disposte a fare il massimo possibile pur di salvaguardare, fin che possono, i loro margini di profitto. A seconda dei casi, ciò può comportare pressioni per abbassare i prezzi dei subappaltatori, miglioramenti della produttività, trasferimento dei crescenti costi sui prezzi di vendita dei loro prodotti o servizi o rifinanziamento del debito se i tassi di interesse scendono in vista di un clima economico meno favorevole o, nella maggior parte dei casi, una combinazione di tutti questi diversi fattori. E le aziende che hanno più potere di determinare i prezzi, sia per mancanza di concorrenza sia perché offrono un prodotto o un servizio per cui i mercati sono in competizione, se la cavano particolarmente bene.
Ma al momento, questa dinamica si è inceppata. Innanzitutto perché il forte aumento dei prezzi colpisce in primis i beni essenziali, come l'energia, i prodotti alimentari e altri prodotti e risorse di base di cui è difficile fare a meno. Poi perché, alzando i tassi ufficiali e ritirandosi dai mercati del debito, le banche centrali stanno facendo aumentare il costo del credito e ne rendono più difficili le condizioni di accesso. In aggiunta a ciò, con l'inflazione che si diffonde in tutta l'economia in un momento in cui i tassi di disoccupazione sono in molti Paesi sono ai minimi, le pressioni al rialzo sui salari sono reali. E infine, a peggiorare le cose, si aggiunge la perdita del potere d'acquisto dei consumatori così come l'elevata probabilità di una recessione globale, che indubbiamente peserà sulla domanda di beni e servizi. Non è quindi affatto facile per le aziende trasferire gli aumenti dei costi sui prezzi di vendita in un contesto difficile come quello attuale; il che spiega il calo della maggior parte dei mercati azionari.
Che fare?
Dobbiamo quindi perdere la speranza e abbandonare i mercati finanziari a favore del buon vecchio conto di desposito? Non proprio.
In primo luogo, anche se le turbolenze permangono, i rimbalzi temporanei delle Borse, come quello a cui abbiamo assistito all'inizio del mese, mostrano quanto gli investitori seguano attentamente le politiche monetarie e come siano pronti a precipitarsi sui mercati al minimo segnale di un allentamento delle politiche monetarie. Come sappiamo, però, questi movimenti sono spesso molto rapidi, al rialzo o al ribasso, tanto che in poche sessioni si ottengono i risultati di un anno intero. Meglio quindi rimanere presenti sui mercati e ciò è tanto più vero dal momento che, contrariamente a quanto accadeva prima della loro correzione, i prezzi delle azioni stanno già scontando una quantità significativa di cattive notizie e paure. È meglio quindi investire in un ambiente del genere che quando i mercati sono in una fase idilliaca in cui i prezzi delle azioni sono fissati alla perfezione, non riflettendo alcun rischio, nessuna cattiva notizia all'orizzonte. Per chi investe a medio e lungo termine, il momento attuale non è quindi necessariamente sfavorevole per investire, soprattutto su mercati che promettono bene per il futuro, come gli Stati Uniti o il Canada, o in altri i cui titoli sono attualmente scambiati a prezzi bassi (Giappone, Cina, Corea del Sud). Viste le prospettive per l'Eurozona, al momento non stiamo consigliandoti di investire sulle sue Borse, ad eccezione di un numero limitato di singoli titoli. Tra questi prediligiamo sempre quelli di aziende di qualità, poco indebitate e ti consigliamo di evitare, in questa fase, scommesse rischiose.
Sul mercato obbligazionario, i rendimenti offerti restano complessivamente bassi, negativi in termini reali (senza inflazione) per la maggior parte dei mercati obbligazionari occidentali. Tuttavia, i livelli attuali sono molto più elevati che nel recente passato, quando l'inflazione era destinata a scendere nel tempo. In ogni caso, le obbligazioni hanno ancora un importante ruolo di diversificazione, abbassando il rischio dell'intero portafoglio. Non possono quindi essere trascurate in una strategia diversificata di portafoglio. Le obbligazioni societarie, invece, sono più rischiose, in particolare quella della zona euro, dove le sfide sono numerose e la visibilità ridotta. A ciò si aggiungono rendimenti ancora bassi e difficoltà di accesso alle singole obbligazioni; tutti elementi che ci incoraggiano a restarne globalmente alla larga.