L’economia indiana cresce, così come le sue diseguaglianze

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Diversi i fattori che han determinato il boom economico degli ultimi anni in India. Uno è l’aumento della spesa pubblica. È vero che era fondamentale investire per migliorare le infrastrutture insufficienti, ma i soldi non sono stati sempre spesi bene: voler costruire una rete ferroviaria a alta velocità, ad esempio, non è stata la scelta migliore con una rete tradizionale bisognosa di essere rinnovata. Né la distribuzione di beni di prima necessità al maggior numero di persone possibili, anche se ha consentito al Primo Ministro Modi di mantenere la sua popolarità, ha migliorato la situazione economica del Paese, né ha migliorato le prospettive future di chi ha ricevuto questi aiuti. La crescita del PIL è anche il risultato dell’esodo verso le città dei piccoli agricoltori che si trasferiscono ogni anno per lavorare nel commercio: il loro lavoro in questo settore è registrato nel calcolo del PIL, a differenza di quello agricolo, ma non aumenta la ricchezza reale del Paese.
Dal 19 aprile quasi un miliardo di indiani sono chiamati a eleggere i loro 543 parlamentari per i prossimi cinque anni. La coalizione dell’attuale Primo Ministro, Marendra Modi, dovrebbe vincere, conquistando il terzo mandato, non senza rischi di abusi di potere.
Disuguaglianze in crescita e Borsa cara
Negli ultimi dodici mesi i consumi delle famiglie sono aumentati solo del 3,5%. Oggi l’1% più ricco detiene il 40% della ricchezza totale e il suo reddito è pari al 22,6% del reddito complessivo del Paese rispetto a solo il 15% del 50% più povero. Del boom economico beneficiano i conglomerati più ricchi che investono in settori come il petrolchimico o le telecomunicazioni che non creano molti posti di lavoro. Anche se l’India vorrebbe sostituirsi alla Cina come fabbrica del mondo, è difficile che ciò accada. Il primo ostacolo è lo scarso livello di istruzione: un quarto della popolazione non sa né leggere né scrivere e il sistema scolastico è di scarsa qualità e comunque sono pochi gli indiani con qualifiche interessanti. Le politiche interventiste del governo sono un altro ostacolo: l’economia indiana è chiusa, con numerose barriere doganali per favorire i produttori locali; il che non invita i produttori esteri a impiantare le loro fabbriche in India per rifornire il mercato globale. Chi investe nel Paese, produce per il mercato locale. L’insediamento di importanti attori stranieri è, inoltre, ostacolato dalla collusione che esiste tra la classe politica e l’industria indiana. Negli ultimi dodici mesi, il buon andamento della Borsa indiana non è tanto dovuto a ciò che succede nel Paese, quanto al brutto momento attraversato dalla Cina. Molti investitori, usciti dai mercati cinesi, hanno guardato all’India come un’alternativa per un’esposizione verso l’Asia. Questo spostamento ha sostenuto la valuta indiana, la rupia, sul mercato dei cambi. Secondo noi però, i prezzi delle azioni indiane sopravalutano le potenzialità del Paese, che resta perciò fuori dalle nostre strategie.
I consumi sono dinamici tra le famiglie più ricche, basti pensare che nel 2023 sono state venduti più di 4 milioni di automobili e il loro prezzo medio è aumentato del 50% in cinque anni, mentre il numero di biglietti aerei per voli interni ha raggiunto i 150 milioni dai 141 milioni del picco pre-Covid. Allo stesso tempo, però, le vendite di veicoli a due ruote sono scese a 18 milioni dai 21 milioni prima della pandemia, mentre il numero dei passeggeri sui treni è diminuito di quasi il 20% in 10 anni. Anche se quindi più indiani acquistano automobili e prendono l’aereo, per la maggioranza di loro è diventato meno facile acquistare un motorino o un biglietto del treno.
Gli industriali indiani hanno sostenuto finanziariamente il partito di Modi che, in cambio, li favorisce negli appalti pubblici e difende i loro interessi di fronte alla concorrenza straniera.
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