Sceso a circa 69 dollari al barile all'inizio di dicembre, quando l'annuncio della nuova variante Omicron ha sollevato timori di un ritorno ai lockdown e altre forti restrizioni, il barile di petrolio Brent è rapidamente rimbalzato da allora, raggiungendo 78,4 dollari al barile alla fine dell'anno.
Nell'immediato futuro, gli investitori scommettono che, nonostante i dati sull'infezione a livelli record, la nuova variante si rivelerà meno pericolosa, come sembrano indicare i dati del Sudafrica, dove Omicron è stato identificato per la prima volta.
Tuttavia, ancor più fondamentale, il 2021 ha messo a nudo i problemi legati a una transizione energetica che vuole essere veloce ma non ha i mezzi per le sue ambizioni: in questa fase, l'energia rinnovabile non è in grado di sostituire carbone, nucleare e idrocarburi contemporaneamente. Allo stesso tempo, i limiti agli investimenti in idrocarburi pesano sulla capacità dei produttori di aumentare la loro produzione per tenere il passo con il ritorno della domanda e persino, in alcuni casi, per stabilizzarla. Questo, insieme all'aumento dell'USD rispetto all'euro, spiega l'aumento del prezzo di un barile di circa il 50% nel 2021 (in euro) e dell'impennata dell'inflazione che pesa sul potere d'acquisto delle famiglie e mina la ripresa.
Poiché i problemi attuali non sono di natura temporanea, i prezzi del petrolio sembrano destinati a rimanere su livelli elevati nel 2022. Tuttavia, poiché la base di confronto non sarà più quella dell'anno 2020, ma quella del 2021, l'impatto degli elevati prezzi dell'energia sull'inflazione dovrebbe gradualmente diminuire, a meno che i prezzi del petrolio non risalgano verso i livelli raggiunti tra il 2011 e il 2014, che non è lo scenario da noi delineato, almeno in questa fase.