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Ucraina dimenticata dalle Borse?

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Ucraina dimenticata dalle Borse?

Data di pubblicazione 25 marzo 2022
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Ucraina dimenticata dalle Borse?

Ucraina dimenticata dalle Borse?

L'invasione dell'Ucraina continua, ma i mercati sembrano determinati a dimenticarla il prima possibile: segno che si aspettano una normalizzazione della situazione a breve e un ridotto impatto del conflitto sull'economia mondiale. La realtà rischia, però, di essere più complessa.

I mercati si stanno riprendendo

I mercati azionari si stanno risollevando, tanto che l’indice mondiale - trainato dalle azioni statunitensi che sono cresciute di oltre il 9% dal giorno precedente l’invasione dell'Ucraina - ha guadagnato quasi il 6%, mentre l’indice della zona euro ha subìto solo un lieve calo, inferiore al 2%.

La logica del mercato è semplice: la principale minaccia per l'economia globale non è il conflitto in Ucraina ma l'inflazione. E poiché la Fed (la Banca centrale americana) è motivata a fare tutto il necessario per contrastarla, gli investitori, convinti che ciò possa essere fatto senza troppi danni, recuperano un po’ di fiducia.

Certo la guerra in Ucraina continua a influire sui mercati, ma sempre meno. In primo luogo, il Nord America è poco esposto. In secondo luogo, l'Ucraina è un'economia molto piccola e la Russia rappresenta solo il 3% del PIL mondiale (tutta la ricchezza prodotta nel mondo). I negoziati  continuano e se è vero che l'impatto delle sanzioni occidentali è stao devastante in Russia, in Europa, per il momento, è meno visibile, anche se i prezzi dei carburanti alla pompa e quelli del gas si sono infiammati.

Uno shock diverso dalla pandemia

Lo shock provocato dalla guerra è diverso da quello causato dal Covid. Durante la pandemia il problema era stato causato da un'improvvisa carenza della domanda, causata dalle restrizioni introdotte volontariamente dagli Stati per limitare la diffusione del virus. Attualmente, invece, stiamo assistendo all'esclusione della Russia dall'economia mondiale. Ma il peggio per l’Occidente deve ancora venire: il mondo è in una transizione energetica che durerà decenni e, in attesa del pieno sviluppo delle energie rinnovabili, il gas russo doveva rappresentare uno dei pilastri della transizione energetica. Il conflitto in Ucraina, invece, ha rimesso tutto in discussione, costringendo le autorità a trovare altre soluzioni. E anche quando il conflitto terminerà, l'Occidente faticherà a fidarsi di Mosca e rischierà di dover affrontare gravi problemi di approvvigionamento energetico nei prossimi anni. A più breve termine, un eventuale embargo contro il gas russo comporterebbe costi estremamente elevati per le famiglie, l'industria e tutta l'economia europea. In questa fase, l'Europa sta cercando, quindi, in modo più o meno coordinato, di trovare fonti alternative al petrolio e al gas russi. Farne a meno del tutto sarà  estremamente difficile. Primo, perché la maggior parte degli altri produttori sta già funzionando a pieno regime. In secondo luogo, perché la capacità di trasporto e raffinazione non è sempre disponibile dove sarebbe necessario e perché eventuali nuovi investimenti (resi più problematici anche dai criteri legati alla sostenibilità) ci metterebbero anni per dare frutti. Infine, anche se il prezzo del petrolio viene spesso utilizzato come barometro del mercato energetico, dietro questa apparente semplicità si nasconde una miriade di mercati, ognuno con le sue specificità.

Gas e diesel in difficoltà

L’approvvigionamento di gas preoccupa soprattutto i Paesi che dipendono maggiormente dalla produzione russa. Ma gli eventi delle ultime settimane hanno messo a nudo anche i problemi dei mercati di tutte le materie prime, la cui volatilità è così elevata da spingere i loro attori, che accumulano perdite significative, a chiedere aiuto alla Banca centrale europea. Le banche sono, infatti, restie a finanziare il settore e, senza finanziamenti, gli operatori si trovano nell'impossibilità di operare sui mercati. Un’incapacità di operare che arriva proprio nel momento peggiore e che suscita molti timori. Non per nulla in Germania le autorità che regolano il settore hanno chiesto ai grandi gruppi industriali di prepararsi a interruzioni del servizio il prossimo inverno.

Attualmente ad essere sotto pressione è anche il mercato del diesel, un carburante che, anche se da anni ostracizzato, resta quello predominante nel mondo dei trasporti e dei macchinari. Circa la metà del diesel importato in Europa proviene, infatti, dalla Russia, dove in parte (circa il 15% del totale) viene anche raffinato. Inoltre, poiché la carenza di diesel è un problema globale, e non riguarda solo l'Europa, trovare fornitori alternativi non sarà affatto facile. Pertanto, anche in questo caso c’è la possibilità di un razionamento e, naturalmente, di fronte a un tale squilibrio tra domanda e offerta, è molto improbabile che si assista a un calo dei prezzi.

Borse troppo ottimiste?

Attualmente i mercati azionari non sembrano tenere conto né di scenari negativi né del fatto che questo conflitto rischia di ripercuotersi sull'Occidente per molti anni. Senza contare che c'è anche il rischio di un errore di politica monetaria negli Stati Uniti, dove la Fed, che ha recentemente abbracciato la causa della lotta all'inflazione, potrebbe spingersi troppo oltre nei rialzi dei tassi, accelerando così un brusco atterraggio della crescita americana. Uno scenario che non è certo il più probabile, ma che in questa fase non può essere escluso. Infine, con i tassi delle obbligazioni statunitensi in forte aumento e la Fed determinata a contrastare a tutti i costi l'inflazione, la frase "no alternative to stocks” (nessuna alternativa alle azioni) non regge più: agli attuali livelli dei tassi di interesse, le obbligazioni stanno infatti ritornando a essere interessanti, in particolare quelle americane. In Europa i tassi in media stanno anche qui aumentando, ma il rendimento offerto dai bond in termini assoluti non sono ancora interessanti. Gli investitori hanno quindi tutto l'interesse a rimanere ben diversificati e a non esporsi eccessivamente nelle regioni più colpite dal conflitto, in particolare in Europa. Per questo confermiamo i nostri tre portafogli che rispecchiano questi criteri.

Verso nuove “primavere arabe”?

L’impatto della guerra sul potere d'acquisto è particolarmente evidente in Medio Oriente e in Nord Africa. In gran parte dipendenti dalla Russia e dall'Ucraina per la fornitura di cereali e oli vegetali, i Paesi di queste regioni stanno lottando per trovare delle alternative. I prezzi sono, infatti, in aumento e la popolazione è preoccupata. L'Egitto - il maggior importatore di grano al mondo - è stato costretto a svalutare la propria valuta e anche l’FMI (il Fondo mondiale internazionale) è preoccupato per l'aumento della povertà in questo Paese in seguito al conflitto in Ucraina. Non si può escludere che l'aumento dei prezzi dei generi alimentari possa portare a una destabilizzazione di queste regioni.