L'Europa al centro di tutte le paure
Diciamolo subito, la zona euro non eviterà il rischio di una recessione nel 2022-2023. Certo la fine delle restrizioni legate alla pandemia aveva sostenuto il settore dei servizi durante la prima metà dell'anno, consentendo al mercato del lavoro di trovare livelli raramente visti, ma l’impennata della domanda è stata subito accompagnata nelle nostre economie poco flessibili da un aumento dei prezzi, una situazione che si è esacerbata con l'invasione dell'Ucraina e le conseguenti sanzioni contro la Russia. Idrocarburi, elettricità, trasporti, cibo, i prezzi di tutti i beni di prima necessità stanno raggiungendo dei picchi. Per combattere l’inflazione, ormai alle stelle (a oltre l’8%), la Banca centrale europea (Bce) non ha altra scelta che alzare i propri tassi ufficiali, facendo così salire il costo del credito. Se per gli Stati ritornano quindi sullo sfondo le tensioni sui mercati del debito sovrano europeo, le famiglie non se la passano meglio ora che l'Euribor a 12 mesi - che funge da base per milioni di mutui a tasso variabile in Europa - si avvicina, per la prima volta in un decennio, all'1% e che, con gli aumenti dei tassi ufficiali previsti dalla Bce, dovrebbe mantenere questa tendenza al rialzo. Certo tra il 2000 e la crisi finanziaria del 2008-2009 l'Euribor a 12 mesi era compreso tra il 2% e il 5%, ma un ritorno a tali livelli - che non può più essere escluso se i tassi della Bce superano l'1% - aumenterebbe notevolmente i tassi d’interesse da pagare sui mutui procurando gravi problemi finanziari a milioni di famiglie. Considerati nel loro insieme, questi fattori rappresentano quindi un'enorme minaccia per il potere d'acquisto degli europei. In più, i politici annunciano che l'approvvigionamento energetico sarà problematico il prossimo inverno. Risultato, la fiducia delle famiglie soffre, scendendo a livelli raramente visti, e rende inevitabile una recessione.
Uscirne non sarà affatto facile: il margine di manovra della BCE questa volta sarà limitato. Il periodo di transizione verso le rinnovabili durerà decenni, durante i quali l'Europa mancherà di fonti energetiche abbondanti ed economiche. E molti altri fattori peseranno a lungo. Invecchiata e molto indebitata, con una scarsa presenza nei settori del futuro, scommettendo su tecnologie che non domina e ancora dipendente dal gas russo e dalla Cina per realizzare la transizione energetica, l'Europa avrà grandi difficoltà a riprendersi dalla crisi e il suo potenziale di crescita a lungo termine ne risulterà indebolito. In questa fase, solo azioni a prezzi stracciati giustificherebbero un investimento in Europa, ma non siamo a questo punto o almeno non ancora. Non investiamo più quindi nell'eurozona, fatta eccezione per dei titoli di stato e alcune singole azioni.
Gli Stati Uniti hanno più risorse
L’economia americana seppure in contrazione nel 1° trimestre dell'anno – una recessione tecnica non è impossibile in questa fase – è molto avvantaggiata rispetto a quella europea. In primo luogo, la geografia conta: l'Ucraina è lontana dai loro confini e la guerra ha uno scarso impatto diretto sul Paese. Considerati nel loro insieme, i tre Paesi nordamericani (Usa, Canada e Messico) sono, inoltre, autosufficienti dal punto di vista energetico e non ci sono preoccupazioni per l'approvvigionamento, soprattutto perché le autorità americane si stanno dimostrando molto più pragmatiche anche nell'uso dei combustibili fossili. E visto che la domanda e l'occupazione restano forti, qualsiasi recessione sarà limitata, sia nel tempo che nella portata. Inoltre, avendo aumentato i suoi tassi principali e ridotto il suo bilancio, la Fed (la Banca centrale americana), avrà più mezzi per agire rispetto alla Bce. E anche se, con tutta probabilità, il prossimo 8 novembre, i Democratici perderanno la maggioranza al Congresso- cosa che porterà a blocchi a tutti i livelli e impedirà l'approvazione di una nuova legislazione - i mercati azionari, come hanno sempre fatto, riusciranno ad adattarsi.
Ma è soprattutto a medio e lungo termine che gli Stati Uniti fanno la differenza: la loro economia è fondamentalmente molto flessibile e competitiva, domina tutti i settori del futuro e non tollera minacce alla sua egemonia. E come spesso è accaduto, i Paesi vicini trarranno vantaggio da questo dinamismo. Oltre che negli Usa, puoi quindi investire anche in Canada e in Messico.
La Cina in controtendenza
La Cina è su un registro completamente diverso. Nel 2020, mentre l'Occidente ha stimolato e sostenuto l’economia con tutti i mezzi, le autorità cinesi non ne hanno seguito l’esempio, ma ora, con un obiettivo di crescita del 5,5% nel 2022, e intere fasce dell'economia bloccate da primavera a causa della pandemia, Pechino sta facendo tutto il possibile per accelerare la crescita. Abbassamento di alcune tasse, aiuti fiscali e incentivi di ogni genere, investimenti industriali, aumento delle richieste di credito, tassi ufficiali più bassi, è stato fatto di tutto in questi mesi per rilanciare l'economia. Di certo, l’economia cinese non riacquisterà il vigore di un tempo, ma comunque dovrebbe riuscire a dimostrarsi, sia nel 2° semestre dell’anno che nel 2023, abbastanza dinamica da rendere verde d'invidia il resto del mondo. Naturalmente, rimangono delle sfide da affrontare, come i problemi dei promotori immobiliari cinesi, i debiti dei governi e delle imprese locali o l'animosità di Washington nei confronti di qualsiasi azienda cinese che potrebbe minacciare il predominio dei suoi campioni. Continuiamo, comunque, a consigliarti di investire in Cina e, in assenza di migliori prospettive altrove nel mondo, stiamo addirittura rafforzando le nostre posizioni su questo Paese.
Il resto del mondo
Certo, bisogna ammetterlo, per il resto del mondo la guerra in Ucraina non è affatto in cima alla lista delle priorità. La maggior parte dei mercati emergenti mantiene un approccio pragmatico, dando la priorità soprattutto all’approvvigionamento di beni essenziali. Anzi, alcuni di loro, come l'Indonesia, uno dei principali produttori di nichel, sono anche nella posizione ideale per trarre vantaggio da questo conflitto, che sta facendo impennare le loro esportazioni e gli investimenti nei loro Paesi.
Le principali minacce questi Paesi non provengono, quindi, dalla guerra in Ucraina, ma dall'aumento dei tassi di interesse americani che servono come punto di riferimento per la finanza in tutto il mondo. Il loro rialzo si traduce, in effetti, in un aumento dei costi del credito per i mercati emergenti; un fenomeno che è ancora più accentuato per quei Paesi le cui finanze non sono gestite in modo ottimale o la cui bilancia corrente (che misura il rapporto tra importazioni e esportazioni, flussi finanziari inclusi) è, in larga misura, deficitaria. Non per nulla alcune valute come il real brasiliano o la lira turca hanno subito qualche scossa nelle ultime settimane. Nonostante le turbolenze, continuiamo a investire in Indonesia e in titoli di Stato del Brasile, due Paesi le cui autorità hanno preso atto delle sfide da affrontare e che restano, a nostro avviso, interessanti.