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Germania: quale la strategia per il futuro?

Dopo una leggera recessione a fine 2022/inizio 2023, nel 2° trimestre la Germania si è accontentata di una crescita zero, mentre per il resto dell’anno la Bundesbank si aspetta ancora peggio.

Dopo una leggera recessione a fine 2022/inizio 2023, nel 2° trimestre la Germania si è accontentata di una crescita zero, mentre per il resto dell’anno la Bundesbank si aspetta ancora peggio.

Data di pubblicazione 05 ottobre 2023
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Dopo una leggera recessione a fine 2022/inizio 2023, nel 2° trimestre la Germania si è accontentata di una crescita zero, mentre per il resto dell’anno la Bundesbank si aspetta ancora peggio.

Dopo una leggera recessione a fine 2022/inizio 2023, nel 2° trimestre la Germania si è accontentata di una crescita zero, mentre per il resto dell’anno la Bundesbank si aspetta ancora peggio.

La Germania è in difficoltà. Dopo una leggera recessione a fine 2022/inizio 2023, nel 2° trimestre si è accontentata di una crescita zero, mentre per il resto dell’anno la Bundesbank si aspetta anche di peggio. E visto il numero crescente di sfide, che mette in discussione il modello di crescita tedesca degli ultimi decenni, è difficile prevedere una rapida ripresa di questa economia.

Da due decenni non si sentiva più parlare di una Germania malata. All’epoca, con le spalle al muro, il cancelliere Gerhard Schroeder aveva lanciato una riforma del mercato del lavoro, che ridusse drasticamente il costo del lavoro per unità prodotta e gettò le basi per due decenni di crescita. Ma da allora non è cambiato più nulla, o quasi. Gli anni della Merkel sono stati caratterizzati da una grande stabilità, dalla priorità data al risanamento delle finanze, ma anche da un’enorme mancanza di visione. La Germania, che da tempo ha tassi di interesse molto bassi (e addirittura negativi), non ne ha, infatti, saputo approfittare per potenziare le proprie infrastrutture, rilanciare i settori del futuro e nemmeno per finanziare la tanto desiderata transizione energetica. Ha scelto, invece, l’immobilità e il rigore dei conti pubblici; scelte che oggi paga care.

Un modello sotto assedio…

L’industria ha indubbiamente contribuito al successo della Germania e le ricette per il suo successo erano semplici. Facendo affidamento in gran parte sull'energia a basso costo proveniente dalla Russia, produceva beni ad alto valore aggiunto, nei quali le aziende teutoniche investivano molto e nei quali disponevano di un know-how unico. E la qualità del Made in Germany ha fatto sì che i mercati esteri diventassero ghiotti di prodotti tedeschi, tanto che il modello teutonico è sembrato a lungo inattaccabile. Oggi, però, i tre ingredienti di questa ricetta di successo sono a rischio.

Innanzitutto, l’energia a basso prezzo proveniente dalla Russia è scomparsa e non tornerà tanto presto. E poiché, allo stesso tempo, le centrali nucleari sono state chiuse e gli investimenti nelle energie rinnovabili sono stati insufficienti, oggi vediamo una Germania che guarda al gas naturale liquefatto, che però è molto più costoso, o addirittura al carbone, e che sembra rassegnata all’idea di separarsi dai settori di attività più energivori, tra cui la chimica.

A ciò si aggiunge il fatto che un buon numero di settori in cui la Germania aveva una posizione dominante (motori a combustione, macchinari industriali,…) sono in piena trasformazione. Un motore elettrico, ad esempio, è molto meno complesso di un motore a combustione, specialmente se quest’ultimo deve essere economico, potente e, allo stesso tempo, conforme alle più recenti norme europee. Ma è per il motore a combustione che la Germania dispone di un know-how unico. In cambio, in settori come quello dei software - che hanno un ruolo importante nella gestione dell’energia, nella guida assistita e in molti altri campi tecnologici  – o quello della transizione energetica (semiconduttori, batterie, sensori e molti altri), la Germania non è affatto avvantaggiata visto che le competenze si trovano piuttosto negli Stati Uniti o in Asia.

Infine, è difficile non menzionare i rapporti sempre più tesi tra l’Occidente e la Cina. E visto che la Germania, come la Cina, è sempre stata tra i più ferventi sostenitori del commercio globale e ha sempre adottato una politica mercantilista, oggi, di fronte al dominio della Cina in tutti i settori legati alla transizione energetica e alle attuali tensioni geopolitiche, alle aziende tedesche non resta che ridurre la propria esposizione sul mercato cinese. E ciò non sarà facile. Basti pensare che nel 2022 il produttore automobilistico tedesco BMW ha realizzato ancora il 33% delle sue vendite in Cina contro il 15% negli Stati Uniti e il 10% in Germania. Lo stesso vale per Mercedes, che realizza sul mercato cinese oltre un terzo delle vendite (37%), per Volkswagen (38%) o per Porsche (30%).

E la sfida è ancora più importante visto che in Cina, come anche altrove, va di moda esser patriottici e quindi acquistare prodotti locali. Pechino promuove, del resto, la transizione energetica, il passaggio all’elettricità e i consumatori sono attratti dai prodotti ad alto contenuto tecnologico. Come se ciò non bastasse, la Cina rappresenta la filiera produttiva di un buon numero di aziende teutoniche. Recidere quindi rapidamente i legami pazientemente forgiati tra questi due Paesi nel corso di decenni non sarà affatto facile.

Ecco quindi una Germania che si è lasciata sfuggire uno dopo l'altro tutti i suoi vantaggi competitivi: non dispone più né di energia a basso costo, né di competenze particolari nei settori del futuro, e, per di più, è più o meno costretta a far a meno del suo accesso privilegiato all’enorme mercato cinese.

…non facile da sostituire

La questione che si pone ora è quindi quella se il Germania abbia, o meno, i mezzi per permettersi una nuova strategia di crescita, capace di farla decollare come avvenne 20 anni fa. Essendo una delle economie meno indebitate del G7 (i 7 Paesi più industrializzati al mondo), indubbiamente ha i mezzi finanziari per farlo. Ma non sarà facile. Innanzitutto deve rispondere a delle sfide anche interne: la forza lavoro tedesca sta invecchiando e il profilo demografico della Germania è sfavorevole. I rappresentanti della coalizione di governo, poi, non vanno molto d’accordo e certamente non hanno una visione comune per il futuro del Paese. Senza contare che una difesa del puro e semplice interesse nazionale - del tipo “America is back” proposto da Biden - non sarebbe necessariamente ben accolta, né in Europa né altrove. Va infine ricordato che servirà tempo per attuare le misure necessarie per far uscire il Paese dalla crisi (investimenti nei settori del futuro, riforma dell’istruzione per preparare meglio i giovani alle sfide del domani, miglioramento delle infrastrutture, digitalizzazione dei servizi pubblici, mantenimento del potere di attrazione per i lavoratori qualificati stranieri di cui necessità) e rispondere, al contempo, alle sfide sul piano internazionale. Né bisogna dimenticare che i concorrenti, a partire dagli Usa e dalla Cina, non staranno certo a guardare e, che, essendo già in vantaggio, si batteranno per dominare i settori del futuro. Infine, la Germania, in un’Europa sempre più impregnata di idee protezionistiche e che pensa di poter gestire il suo declino chiudendo i propri confini, ha poche possibilità di successo.

Quali prospettive?

Berlino dovrà impegnarsi molto per rinascere e, in questa fase, è difficile credere a una rapida ripresa dell’economia tedesca, messa alle strette su tutti i fronti e incapace di difendere i propri interessi nazionali o di permettersi una nuova visione del futuro .

Nelle nostre strategie di portafoglio non ti consigliamo quindi di investire nella Borsa tedesca, come anche nel resto nella zona euro. Alcune azioni tedesche restano comunque interessanti come posta extra-portafoglio.