La settimana delle obbligazioni: che ne sarà dei tassi?

La settimana delle obbligazioni
La settimana delle obbligazioni
CONFLITTI, CRESCITA E FASE DUE DELLA POLITICA MONETARIA
In una settimana in cui la situazione in Israele ha quasi completamente monopolizzato l’informazione, i mercati obbligazionari hanno dovuto digerire anche i dati sull’inflazione, che rappresenta una delle variabili chiave per le sorti dei tassi a livello mondiale.
Le dinamiche del conflitto in Israele, inoltre, potranno essere fondamentali per le sorti dell’economia mondiale. La durata e la portata a livello geo-politico di quanto sta accadendo, su cui oggi è ancora difficile fare previsioni, rappresentano un nuovo fattore di rischio. L’economia mondiale stenta, il Fondo monetario ha rivisto le stime al ribasso per il 2024 per quanto riguarda la crescita del Pil, ma il peso della situazione israeliana potrebbe rendere quelle stime obsolete. Molte zone del mondo stanno faticando in termini di crescita, proseguendo sul filo di una recessione o con tassi di crescita molto lenti. È chiaro che in questo contesto le incertezze derivanti da un conflitto su scala allargata potrebbe far peggiorare le cose.
Tutto questo è fonte di incertezza (e non da poco) per gli Stati, per i Governi, così come per le Banche centrali, le quali, come dicevamo, si trovano a dovere fare i conti con l’inflazione. Il carovita non è sconfitto: questo è un giudizio generale che si può dare per tutto il mondo. Lo stesso Fondo monetario ha ritoccato al rialzo le stime per il carovita del 2024 e il ritorno ai livelli obiettivo del 2% è previsto per il 2025. In questo contesto, non si può definire quindi concluso l’operato delle Banche centrali, che dunque si interrogano ancora sul da farsi. In molti casi, infatti, la porta è stata lasciata aperta a un altro rialzo dei tassi, per poi lasciare questi ultimi fermi su questi livelli molto alti per un po’ di tempo. L’effetto dei tassi è, infatti, ritardato: ci vuole del tempo perché producano degli effetti su consumi, prestiti, mutui… insomma sull’economia. È, quindi, necessario lasciarli fermi prima di procedere con i tagli, perché nel tempo in cui si lasciano fermi le condizioni monetarie all’interno dell’economia diventano ancora più restrittive, proprio per l’effetto ritardato.
Le Banche centrali si trovano, dunque, in questa fase, in cui devono decidere quando decretare la fine del ciclo di rialzi per poi passare ufficialmente alla fase due: tassi fermi in attesa del momento in cui si potrà iniziare a tagliarli. Tagli, però, che non potranno essere troppo veloci, visto che solo nel 2025 è previsto il ritorno all’obiettivo del 2%.
LA GRANDE OSSERVATA SPECIALE: L’INFLAZIONE
Cosa ci dicono, allora, i dati sull’inflazione? Partiamo da quella Usa, vista la rilevanza della Fed. Negli Stati Uniti, l'inflazione è rimasta stabile a settembre, a +3,7% su base annua. Rispetto al mese precedente, i prezzi sono aumentati di un ulteriore 0,4% (rispetto allo 0,6% di agosto). Per quanto riguarda l'inflazione di fondo (cioè esclusi energia e cibo), è scesa al 4,1% dal 4,3% di agosto. Si tratta di dati superiori alle attese, che prevedevano un +3,6% per quella annua e un +0,3% per quella mensile. Nel loro insieme, questi dati indicano un'inflazione che non è certamente più alle stelle come nel recente passato, ma che rimane lontana dall'obiettivo della Federal Reserve. In generale, nella prossima riunione i tassi non dovrebbero essere toccati e il mercato ha comunque ridotto le possibilità per un ulteriore rialzo nelle prossime riunioni. A fronte di ciò, il mercato sta allineando però le sue attese sull’ipotesi che l’attuale livello dei tassi rimanga tale per diverso tempo, rimandando sempre più in là le previsioni sul primo taglio ai tassi d’interesse.
In Svezia, i dati sull'inflazione non sono ancora sufficienti per fermare il rialzo dei tassi da parte della Riksbank, la Banca centrale svedese. La dinamica dell'inflazione si conferma in calo, con l'indice generale che è sceso a settembre dal 7,5% al 6,5%, ma le attese erano per un 6,3%. C’è inoltre da considerare l’inflazione di fondo, depurata anche dall’effetto del rialzo dei tassi, che è la misura a cui guarda con molta attenzione la Riksbank: è scesa solo dal 7,2% al 6,9%, contro il 6,6% previsto dalla stessa Banca centrale. Prima di questo dato si discuteva sull’eventualità di un altro rialzo della Riksbank, ma ora l’opinione generale è che a novembre i tassi saranno alzati al 4,25% - mossa che dovrebbe essere l’ultima.
Per quanto riguarda la Norvegia, la situazione è opposta a quella vista per la Svezia. Anche in questo Paese l’inflazione ha confermato la sua traiettoria in calo, ma a settembre è rallentata anche più di quanto ci si aspettasse. L'indice generale è sceso dal 4,8% al 3,3%, mentre l'inflazione di fondo è scesa dal 6,3% al 5,7%. Sono due dati inferiori alle attese, che si attestavano rispettivamente al 4% e al 6,1%. A questo punto ci si interroga se la Norges Bank, la Banca centrale norvegese, possa decretare la fine dei rialzi. In realtà e ancora probabile che la Norges Bank decida di alzare un'ultima volta i tassi di interesse per portare il costo del denaro in un territorio sufficientemente restrittivo da poter far convergere l’inflazione al 2% obiettivo.
In Brasile il carovita a settembre è aumentato meno delle attese, confermando così l’intento della Banca centrale di proseguire con il taglio dei tassi d’interesse. A livello annuale il carovita è cresciuto del 5,19%, contro il 5,27% previsto delle attese, il tutto con un’economia che continua a registrare una buona crescita. Crescita robusta e inflazione che si muove sotto le attese hanno come conseguenza la conferma che la Banca centrale possa tagliare i tassi di un ulteriore 0,5% nella prossima riunione. Tuttavia, visto che il carovita è in salita da tre mesi, sebbene accompagnato da una crescita sostenuta, non ci si deve aspettare tagli maggiori di quanto comunicato dalla Banca centrale.
A settembre, l'inflazione cinese è tornata a zero. A differenza della stragrande maggioranza dei Paesi occidentali, la seconda economia più grande del mondo non ha sofferto dell'impennata dei prezzi al consumo. Ci sono molte ragioni per questo, ma quella principale di questo caro vita al palo (e addirittura in territorio negativo se si guardano i prezzi alla produzione) è la debolezza della domanda. Le battute d'arresto del mercato immobiliare e la mancanza di sostegno durante il lungo periodo della pandemia hanno avuto un impatto sulle famiglie, che hanno visto diminuire il valore dei loro beni e sono state costrette ad attingere ai loro risparmi.
COME VANNO I PRODOTTI?
Ubs Japan Treasury 1-3y (+0,5%)
Nordea 1 norwegian bond BP (+2,6%); Wisdomtree Long Nok Short Eur (+1,7%)
iShares $ treasury 1-3y acc B (+1%); iShares $ High Yield Corp Bond (+1,4%)
HSBC GIF Brazil Bond AC USD (+3,6%)
Nordea 1 swedish short term bond (+0,6%); Wisdomtree Long Sek Short Eur (+0,3%)
Xtrackers II iBoxx Eurzone Gov. Bond YP 1-3 (+0,1%); Xtrackers II High Yield Corporate Bond 1D (+0,1%)
iShares China CNY Bond (+0,7%)
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