L’andamento registrato nel 2025 ha in parte minato la credibilità del dollaro. Valuta internazionale per eccellenza, moneta di uno dei Paesi più importanti dal punto di vista economico e geopolitico, spesso considerata un bene rifugio — così come i titoli di Stato americani, ritenuti “safe haven”, cioè porti sicuri in cui rifugiarsi quando le condizioni dei mercati e dell’economia mondiale non sono favorevoli.
I motivi che hanno portato all’attuale andamento del dollaro sono diversi, e ne abbiamo parlato più volte nel corso dell’anno. Tuttavia, come dicevamo, l’andamento del 2025 ha sollevato in molti investitori — e anche tra voi che ci seguite — numerose domande sul dollaro: “Ha ancora senso tenere il dollaro in portafoglio?”, “I rendimenti offerti dalle obbligazioni in valuta permettono di ottenere un guadagno nonostante il deprezzamento del dollaro?”. Tutte queste domande si collegano a un unico filo conduttore: vale ancora la pena mantenere il dollaro in portafoglio? E, se sì, perché continua a essere consigliato oggi come lo è stato in passato?
Il 2025 è certamente un anno in cui, come abbiamo avuto modo di mostrare, i rendimenti dei prodotti che consigliamo sono stati — e sono tuttora — negativi, in modo chiaro e trasparente. Tuttavia, la questione deve essere analizzata in un’ottica più ampia: quella di un portafoglio diversificato pensato per creare ricchezza nel tempo, non per generare guadagni costanti giorno per giorno. Il nostro messaggio non va interpretato in modo superficiale: la riflessione è più ampia e riguarda la correlazione tra i rendimenti attesi e la funzione di ciascuna componente del portafoglio. In un portafoglio ben costruito, non è detto che dopo 10 o 15 anni tutte le posizioni risultino in utile: alcune potrebbero essere in perdita, ma ciò che conta è il saldo netto complessivo, che nel lungo periodo tende a generare ricchezza. Questo non significa, naturalmente, che sia opportuno mantenere in portafoglio strumenti destinati a restare in perdita (fughiamo i dubbi su questo principio fin da subito).
DIAMO RISPOSTA ALLE DOMANDE
I dettagli tecnici e le metriche che intervengono nei nostri modelli possono essere complessi e non immediatamente visibili all’investitore. Tuttavia, ciò che più conta — e che alla fine risulta evidente e su cui si focalizza l’attenzione — è il rendimento effettivo del prodotto che ciascuno ha nel proprio portafoglio. Proprio per questo, coerentemente con quanto detto in precedenza circa l’orizzonte temporale di analisi, per rispondere alla domanda se i rendimenti offerti dal dollaro sono in grado di controbilanciare il deprezzamento della valuta, nella tabella sottostante abbiamo riportato l’andamento nel tempo degli ETF che attualmente consigliamo all’acquisto sui Treasury, sui corporate e sugli high yield, ma non solo. Abbiamo inserito anche quello sui fallen angels consigliato speculativamente e poi abbiamo anche inserito ETF con diverse scadenze sui Treasury. La scelta è stata fatta per mostrare un ventaglio il più ampio possibile di situazioni, a dimostrazione che le nostre osservazioni valgono non solo per una singola scadenza o per un particolare tipo di obbligazione, ma in generale. Anche su orizzonti temporali inferiori ai dieci anni — quindi anche più brevi rispetto a quelli tipici delle nostre strategie — emerge che il total return degli ETF investiti in dollari Usa, a prescindere dalla scadenza e tipologia di bond, è positivo. Abbiamo scelto di analizzare il total return proprio per mostrare come il combinato effetto di prezzo, cedole e andamento valutario conduca, nel complesso, a risultati positivi. I rendimenti sono calcolati dalla quotazione di ciascun ETf su Borsa italiana. Ovviamente, questo non significa che ogni investimento in dollari è in guadagno. A seconda del momento di acquisto gli stessi ETF citati in tabella hanno rendimenti positivi e negativi, così come ci saranno rendimenti superiori e inferiori a quelli mostrati in tabella.
TIRIAMO LE SOMME
Alla domanda: i rendimenti offerti dagli asset in dollari, in particolare dalle obbligazioni, sono in grado di compensare un eventuale andamento negativo della valuta? La risposta, storicamente, è sì. Nel lungo periodo, anche attraverso fasi fisiologiche di volatilità, il dollaro ha mostrato la capacità di generare risultati positivi. Lo scopo di questo esercizio è questo. Oggi, in un contesto in cui il suo livello si colloca intorno alla media storica, l’effetto combinato di prezzo e rendimenti offerti porta ai risultati che abbiamo illustrato. In quest’ottica, e tenendo conto dei calcoli effettuati dai nostri modelli, il messaggio è chiaro: investire in dollari rimane una scelta coerente con una strategia di portafoglio di medio-lungo termine, senza la necessità di attendere decenni per vederne i benefici, ma con la consapevolezza che la prospettiva temporale resta un elemento fondamentale per la valutazione dei risultati.