La settimana delle obbligazioni: serve pazienza con i tassi

La settimana delle obbligazioni
La settimana delle obbligazioni
Nell’ultimo anno, le Banche centrali hanno adattato non solo la loro politica monetaria a seconda delle necessità, ma anche la loro comunicazione. Se agli inizi del ciclo di rialzi le Banche centrali affermavano che la priorità era combattere l’inflazione, anche a costo di creare dei dolori all’economia inclusa la possibilità di farla finire in recessione, una volta raggiunto il picco del costo del denaro il motto è diventato “tassi più alti, più a lungo”. Ora che il carovita sta scendendo verso il 2%, la nuova impostazione sembra quella di “non avere fretta”. Banca centrale europea, americana e inglese stanno predicando pazienza, ripetendo che non bisogna abbassare i tassi troppo in fretta e troppo in anticipo, perché questo potrebbe rovinare i risultati realizzati fino ad oggi. Non è un messaggio positivo per i mercati, che prevedevano, e prevedono ancora, tagli nei tassi a breve termine.
Secondo la Fed, la politica monetaria è ben impostata, sta portando risultati, ma prima di decidere di cambiare e dare avvio al taglio dei tassi i dati devono mostrare progressi ancora più significativi di quelli attuali. La Banca centrale Usa si è, comunque, detta confidente che più avanti nel corso dell’anno si possa iniziare a tagliare i tassi. Il governatore Powell, così come il Segretario del Tesoro, la scorsa settimana si è però interessato maggiormente di un’altra questione: i problemi del settore immobiliare commerciale Usa e delle sue ripercussioni sulle banche – vedi riquadro.
Nella zona euro, i dati sull’inflazione di gennaio e le dichiarazioni del governatore della Bce spingevano già da qualche settimana verso giugno come data probabile per il taglio dei tassi. Ipotesi che sembra corroborata da quanto emerso la scorsa settimana: i dati che provengono dall’economia di eurolandia confermano che la parte più dura del lavoro per sconfiggere l’inflazione deve ancora arrivare. L’inflazione dei servizi scende troppo lentamente, il mercato del lavoro è resiliente e per di più i rendimenti di mercato non sono così restrittivi come si vorrebbe. Insomma, anche se l’inflazione è scesa (e molto), ora quel poco di strada che resta da fare sarà più difficile. C’è stato, poi, anche chi ha detto che se i rischi di un rialzo dell’inflazione dovessero permanere, o addirittura aumentare, la Bce potrebbe anche non tagliare i tassi quest’anno (anche quest’ultima ipotesi, però, sembra eccessiva).
IMMOBILIARE COMMERCIALE BANCHE: COSA SUCCEDE?
Negli Usa, ha tenuto banco la situazione del settore immobiliare (real estate) commerciale. I problemi in cui versa questo settore già da diverso tempo hanno guadagnato i titoli dei giornali a causa del declassamento da parte di Moody’s della banca New York Community Bancorp, il cui rating è stato abbassato di ben due livelli portandolo direttamente a Ba2, quindi tra i titoli spazzatura. Il suo declassamento ha riacceso i timori per le piccole banche e le banche regionali Usa, quelle maggiormente esposte al settore del real estate commerciale, tanto che ne hanno parlato anche il capo della Fed e il Segretario del Tesoro Usa.
Secondo il governatore Powell, il problema del real estate commerciale negli Usa è appena iniziato e sarà una questione su cui bisognerà lavorare per anni, anche se è stata definita gestibile. Il Segretario Yellen la pensa allo stesso modo: la situazione si può gestire, ma desta preoccupazione, perché può portare ulteriori problemi per le banche e perdite finanziarie a causa della debolezza del mercato immobiliare commerciale. A causare problemi è un insieme di fattori: tassi d’interesse più alti, posti vacanti più elevati a causa del cambiamento dei modelli di lavoro e un elevato numero di prestiti in scadenza quest’anno. Proprio per questo, i regolatori Usa stanno lavorando per fare in modo che le riserve per perdite su crediti e i livelli di liquidità siano adeguati, così da evitare che il contagio si estenda a tutto il sistema finanziario.
Il problema, secondo molti, potrebbe arrivare anche qui in Europa e i primi segni di contagio ci sono stati la scorsa settimana. I primi a farne le spese sono stati i bond subordinati di Deutsche Pfandbriefbank, banca tedesca specializzata nel settore immobiliare ed esposta al real estate commerciale americano. La scorsa settimana le sue le obbligazioni subordinate hanno perso molto terreno, per poi recuperare, ma solo in parte, dopo che la banca ha comunicato di aver aumentato gli accantonamenti per i rischi e di aver riportato un utile prima delle imposte per tutto il 2023 che ha centrato le attese di mercato. È anche vero, però, che i problemi potranno arrivare in futuro, più che dai conti del passato.
CINA, BRASILE E NORVEGIA: COME VANNO I PREZZI?
A gennaio i prezzi in Cina sono scesi ancora una volta, è il quarto mese di fila, facendo registrare un -0,8% annuo. Questo significa che non solo hanno fatto peggio delle attese (fissate a -0,5%), ma hanno messo a segno il peggior calo dal 2009 ad oggi. L' indice dei prezzi alla produzione è sceso del 2,5%, rispetto ad attese del 2,6%, e così sono ben 16 i mesi consecutivi in cui questo indicatore mostra il segno negativo. In altre parole, dal lato dei prezzi alla produzione non si segnalano possibili rialzi dei prezzi: anzi, le pressioni deflazionistiche permangono.
Continua la disinflazione in Brasile, con il carovita a gennaio passato al 4,51% annuo dal 4,62% di dicembre. Anche se le attese erano per un 4,42%, la dinamica dei prezzi si conferma in rallentamento e pur dovendo tenere d’occhio alcuni potenziali rischi sui prezzi, è una situazione in cui la Banca centrale brasiliana può continuare sul percorso già annunciato di tagliare i tassi dello 0,5% anche nella prossima riunione.
Quanto visto in Brasile è avvenuto anche in Norvegia. Nel Paese scandinavo i prezzi sono scesi a gennaio, confermando che la strada della disinflazione è oramai tracciata e che il calo dell’inflazione è continuo. Tuttavia, anche in questo caso i dati predicano pazienza e attenzione. Il lavoro non è finito e la strada da fare è lunga e accidentata. Il calo registrato a gennaio è inferiore alle attese. Il 4,7% dell’indice generale si confronta con il 4,8% di dicembre, ma le attese erano per un 4,6%. L’inflazione di fondo ha, invece, rallentato al 5,3% dal 5,5%, contro attese al 5,2%. Tagli nei tassi in questa prima parte del 2024 sono poco probabili, con questi dati, mentre questi ultimi sono compatibili con le aspettative della Banca centrale di una riduzione del costo del denaro nella parte finale dell’anno.
COME VANNO I PRODOTTI?
Ubs Japan Treasury 1-3y (-0,6%)
Nordea 1 norwegian bond BP (-0,7%); Wisdomtree Long Nok Short Eur (+0,8%)
iShares $ High Yield Corp Bond (+0,3%)
HSBC GIF Brazil Bond AC USD (+1,2%)
Xtrackers II High Yield Corporate Bond 1D (+0,1%)
iShares China CNY Bond (-0,1%)
Vanguard USD Treasury Bond Ucits Etf Dis (-0,7%); Xtrackers II US Treasuries Ucits Etf 1D (-0,7%)
Ishares Eu Govt Bond 5-7y Ucits Etf Dist (-0,9%)
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