La settimana delle obbligazioni: inflazione e prossime mosse sui tassi

La settimana delle obbligazioni: inflazione e mosse Banche centrali
La settimana delle obbligazioni: inflazione e mosse Banche centrali
Il percorso di politica monetaria della Fed non è né delineato né delineabile. Questa potrebbe essere la sintesi dei verbali dell'ultima riunione tenutasi a novembre, durante la quale sono stati tagliati i tassi, ma potrebbe anche essere la chiave di lettura dei dati che sono arrivati la scorsa settimana dall'economia e dall'inflazione. Prima di tutto, dai verbali dell'ultima riunione si evince che c'è grande incertezza all'interno della Federal Reserve. Questo perché ci sono dati che fanno propendere per continuare a tagliare i tassi di interesse, ma anche dati che invitano alla cautela e che potrebbero suggerire una pausa. La Fed, però, non ha nessuna posizione precostituita: in base ai dati, deciderà cosa fare. Potrebbe anche decidere di accelerare nei tagli, qualora l’economia rallentasse troppo o il mercato del lavoro peggiorasse, ma potrebbe anche decidere di prendersi delle pause se l’economia dovesse presentarsi più resiliente e l’inflazione rimanere troppo elevata. Ma come vanno i dati? Stando a quelli comunicati la scorsa settimana, si può dire che il carovita non scende in maniera decisa e veloce e questo rende più forte la posizione all'interno della Fed di chi sostiene un approccio cauto in fatto di tassi di interesse. Tuttavia, dopo la pubblicazione dei dati sull’indice dei prezzi delle spese personali (l’indicatore preferito dalla Fed per il carovita), per i mercati le probabilità di un taglio a dicembre sono aumentate rispetto al giorno precedente e rispetto alla settimana precedente. Come mai? Un dato in linea con le attese è sempre qualcosa di positivo per i mercati, perché significa che le cose stanno andando come ci si era prospettati: non c'è stato un aumento superiore a quanto atteso che avrebbe potuto far pensare che le pressioni inflazionistiche siano maggiori di quelle attualmente già scontate dal mercato.
L’INFLAZIONE DI TOKYO E LA RIUNIONE DI DICEMBRE
In Giappone l’inflazione di Tokyo a novembre è risultata in crescita, dall’1,8% al 2,6% annuale. Senza contare i prezzi degli alimentari, il dato parla di una crescita del 2,2% annuale, dall’1,8% di ottobre e sopra le attese fissata al 2%. Poiché l’inflazione di Tokyo è un anticipatore di quella nazionale, il dato della capitale rafforza l’ipotesi di un rialzo dei tassi d’interesse nella riunione di dicembre da parte della Banca centrale giapponese (secondo il mercato c’è il 60% di possibilità che questo avvenga). Diventa così praticamente certo un rialzo entro la riunione di gennaio.
L’INFLAZIONE DELLA ZONA EURO E LA BCE
Il dato di novembre, con un’inflazione di fondo stabile al 2,7% e dunque più bassa rispetto alle attese, lascia spazio per tagliare i tassi anche a dicembre, momento in cui saranno determinanti le nuove stime su inflazione e Pil della Banca centrale europea. Molto più incerto sarà il percorso che i tassi seguiranno nel 2025. All’interno della Bce c’è chi sostiene che bisogna essere molto cauti con i tassi, perché l’inflazione dei servizi è elevata, così come la crescita dei salari. Addirittura, c’è chi sostiene che non ci sia più molto spazio per tagliare. A queste posizioni, però, fanno da contraltare quelle di chi è preoccupato per le sorti dell’economia e chiede di accelerare con il taglio dei tassi, ritenendo che si debba scendere ben oltre il cosiddetto livello neutrale dei tassi, cioè sotto il 2%. Il punto d’incontro di queste posizioni così distanti sembra proprio un taglio dei tassi a dicembre e poi un percorso non predeterminato durante il 2025, guidato sull’ormai famoso “approccio basato sui dati”.
LA FRANCIA E GLI OAT
L'importanza non era pari a quella del dato sull'inflazione di novembre, ma anche la situazione francese ha tenuto banco la scorsa settimana: i problemi di bilancio del Paese transalpino, le difficoltà politiche, con la minaccia di un voto di sfiducia all'attuale Governo, e le attese sulla revisione del rating da parte di S&P (alla fine confermato senza alcun declassamento) hanno pesato sui rendimenti degli OaT. Il rendimento del titolo di Stato francese decennale ha raggiunto quello del decennale greco: entrambi si attestano il 2,95% lordo annuo. Non bisogna, però, considerare la Francia a rischio default (vedi a lato): il confronto con la Grecia, per quanto sia “ad effetto”, è solo per mostrare come i rendimenti di un Paese che ha lavorato per anni sul rimettere in ordine i conti pubblici si sono fortemente ribassati, parliamo della Grecia, mentre per la Francia è avvenuto l'opposto. Come ti diciamo qui, gli OaT rimangono all'acquisto.
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