La settimana delle obbligazioni. Bce: arriva il taglio? E la Fed?

La settimana delle obbligazioni
La settimana delle obbligazioni
Le probabilità di un taglio dei tassi da parte della Bce nella riunione del 17 aprile sono significativamente aumentate nelle ultime settimane. I mercati stanno attualmente scontando una probabilità del 90% di una riduzione dello 0,25%, in netto aumento rispetto al 70% registrato prima degli annunci sui dazi statunitensi del 2 aprile. Questa tendenza è stata rafforzata dai recenti dati sull'inflazione nell'eurozona e dalle crescenti preoccupazioni sugli effetti della politica commerciale americana sull'economia europea. Le aspettative non si fermano, però, alla prossima riunione. Gli investitori prevedono un ulteriore taglio a giugno e altri due entro la fine dell'anno, anche se per quest'ultimo scenario le probabilità sono solo di un terzo.
Se i mercati sono convinti del taglio nella riunione di questa settimana, le opinioni all'interno del consiglio direttivo della Bce sembrano divergere sulla tempistica appropriata per i tagli dei tassi – almeno quelle di chi ha voluto esprimersi. Tuttavia, si tratta delle consuete affermazioni dei falchi e delle colombe, che immancabilmente, prima di ogni riunione, riaffiorano comunicando posizioni contrastanti: è un film già visto.
Quel che è veramente fondamentale è quanto detto dalla governatrice Lagarde, secondo la quale, rispetto alle attuali incertezze commerciali, la Banca centrale europea sta monitorando la situazione ed è sempre pronta a utilizzare gli strumenti a sua disposizione; in passato ha messo a punto gli strumenti adeguati e necessari per garantire la stabilità dei prezzi e, naturalmente, la stabilità finanziaria, perché l'una non può prescindere dall'altra. Insomma, pesando le varie voci, le attese sono per un’altra sforbiciata, dello 0,25%, del costo del denaro.
CINA: DEFLAZIONE, DAZI E MANOVRE SULLO YUAN
La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina si intensifica, con ripercussioni sull'economia cinese. Gli Stati Uniti, con un aumento dei dazi sulle merci cinesi, hanno acuito le tensioni commerciali. In risposta, la Cina, oltre a contro-ribattere con aumenti dei dazi, ha adottato una strategia di graduale indebolimento dello yuan, per sostenere le esportazioni cinesi, compensando così l'impatto negativo dei dazi. La Banca Popolare Cinese sta gestendo questo deprezzamento in modo misurato per evitare scosse ai mercati e ulteriori attriti con gli Stati Uniti, che già accusano la Cina di manipolare la sua valuta.
Parallelamente, la Cina sta affrontando una persistente deflazione dei prezzi al consumo (-0,1% annuale a marzo), con un calo registrato anche a marzo. Questa situazione, unita all'inasprimento della guerra commerciale, rischia di esercitare ulteriore pressione al ribasso sui prezzi. Sebbene l'inflazione core (che esclude alimentari ed energia) abbia mostrato un leggero rimbalzo, la deflazione a livello di prezzi alla produzione continua da trenta mesi. Questa situazione potrebbe spingere la Banca Centrale cinese a considerare ulteriori misure di stimolo economico e potenziali tagli dei tassi di interesse. La Cina ha annunciato piani per aumentare la spesa pubblica e incentivare i consumi interni come strategia per contrastare le sfide poste dai dazi.
FED: TAGLIO A GIUGNO (PER I MERCATI)
In condizioni normali, i dati sull'inflazione di marzo negli Stati Uniti avrebbero sancito con certezza l’arrivo di un taglio dei tassi da parte della Federal Reserve nella sua prossima riunione. Purtroppo, i giorni che stiamo vivendo non sono affatto normali: l’attuale contesto è eccezionale e, per questo motivo, le buone notizie contenute nei dati di marzo rischiano di essere già superate dagli eventi in corso.
Partiamo dai numeri. L’indice generale dei prezzi al consumo è sceso dal 2,8% di febbraio al 2,4% su base annua, battendo le attese del mercato che si attestavano al 2,5%. Ma ciò che conta di più per la Fed sono altre metriche, come l’inflazione di fondo, il costo degli alloggi, la cosiddetta inflazione supercore… (vedi a lato), e tutte hanno mostrato dati in netto calo. In sintesi, si è trattato di un report positivo. Anzi, era da tempo che non si vedeva un dato così incoraggiante. Tuttavia, il problema è che in questo momento non sono i numeri sull’inflazione a determinare le scelte della Fed, bensì i dazi. L’incertezza sugli effetti delle tariffe — con i timori di un impatto inflattivo derivante dai dazi imposti dall’amministrazione Trump — si è ulteriormente complicata con la sospensione di 90 giorni appena annunciata. Questo lascia la Fed in una posizione scomoda. Senza questi dati positivi, ossia se l’inflazione non fosse scesa o lo avesse fatto meno del previsto, un taglio dei tassi sarebbe stato escluso a priori. Oggi, invece, avere buoni dati è sì un requisito necessario per tagliare i tassi, ma non è più sufficiente. È questo il nodo centrale: i dati di marzo sono già vecchi, superati da un nuovo fattore di rischio — i dazi — i cui effetti si vedranno nei mesi a venire.
La sospensione temporanea rende l’operato della Fed ancora più complesso, perché aumenta l’incertezza. I dazi verranno ripristinati esattamente nello stesso ammontare annunciato il 2 aprile? Rimarranno ai livelli attuali? Oppure si stabiliranno a un livello intermedio? A seconda dello scenario che prevarrà, anche l’impatto sull’inflazione sarà differente. E, di conseguenza, lo sarà la risposta della Fed. Ma cosa pensano i mercati? Questi ultimi continuano a ritenere che nella riunione di maggio non saranno toccati i tassi, mentre con oltre l’80% di probabilità ritengono che il costo del denaro sarà abbassato a giugno e per fine 2025 sono certi che in tutto ce ne saranno sicuramente altri due, oltre a quello di giugno, e con il 50% di possibilità anche un terzo, che dunque porterebbe il totale a 4 tagli nell’arco temporale tra giugno e dicembre 2025.
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