La settimana delle obbligazioni. Luglio: il mese dei temporeggiatori

La settimana delle obbligazioni
La settimana delle obbligazioni
Giovedì 24 la Banca centrale europea si riunirà per decidere cosa fare in fatto di tassi d’interesse e bisogna aspettarsi un nulla di fatto. Il costo del denaro sarà lasciato invariato, dando così seguito a tutte quelle attese che prevedevano, dopo otto tagli, una pausa nella riunione di luglio. La minaccia di un'imposta del 30% sulle importazioni dell'Unione Europea da parte degli Stati Uniti sta complicando le decisioni della Bce. Le proiezioni economiche dell’Istituto di Francoforte avevano infatti precedentemente ipotizzato scenari meno gravi e l’annuncio di tariffe al 30% ha costretto a rivalutare le potenziali implicazioni sulla crescita e sull'inflazione nella zona euro. Sebbene questa prospettiva sia più severa di quanto la Bce avesse pronosticato, ciò non farà però deragliare i piani di mantenere invariati i tassi di interesse nella riunione di questa settimana e qualsiasi decisione su eventuali tagli sarà probabilmente posticipata alla riunione di settembre. Dopotutto, i dati sull’inflazione parlano di un carovita che ha ormai raggiunto l’obiettivo e quindi, in mancanza di visibilità su quanto peseranno i dazi, temporeggiare risulta la scelta più razionale.
A fine luglio sarà, invece, la volta della Fed. La diatriba Trump-Powell continua, con il presidente Usa che, seppur ribadendo che non sta lavorando per rimuovere il governatore della Fed, continua a dirsi insoddisfatto dell’operato di Powell perché non taglia i tassi. Cosa farà Powell a fine mese? Non taglierà i tassi. I mercati ne sono convinti, stimando tassi fermi con una probabilità del 97%. In effetti, a guardare i dati provenienti dall’economia, non ci sono motivi per tagliare. Secondo il Beige Book della Fed, il bollettino sullo stato di salute dell’economia Usa, l’attività economica è cresciuta leggermente tra fine maggio e inizio luglio, con cinque distretti in lieve espansione, cinque stabili e due in calo. Il quadro è migliore rispetto al report precedente, ma permane un’elevata incertezza. Dai dati sul carovita si legge invece che l’inflazione di giugno è salita solo dello 0,2%, sotto le attese, portando il tasso annuo al 2,9%. I prezzi complessivi sono aumentati del 2,7%, leggermente sopra le previsioni. Le imprese, per contenere gli effetti dei dazi, hanno fatto scorte o ridotto i margini. I prezzi dei servizi sono cresciuti moderatamente, ma quelli degli alloggi hanno rallentato. Segnali misti, dunque, dall’economia, che non consentono di tagliare il costo del denaro.
Anche dalla Cina arrivano segnali misti. Nel secondo trimestre la crescita è stata del 5,2% annuale, superando le aspettative, che avevano previsto un +5,1%. Sebbene il dato possa apparire incoraggiante, in realtà il quadro è decisamente più complesso. La tenuta del Pil è dovuta soprattutto alla crescita delle esportazioni e la produzione industriale, in crescita del 6,8% a giugno rispetto al 5,6% atteso. Le vendite al dettaglio – un indicatore chiave della domanda interna – sono però cresciute solo del 4,8%, molto meno di quanto previsto (5,2%) e in netto rallentamento rispetto a maggio (6,4%). Anche dal fronte investimenti arrivano segnali misti: tra gennaio e giugno, gli investimenti fissi sono cresciuti solo del 2,8%, mentre quelli immobiliari sono crollati dell’11,2%, confermando la crisi del settore edilizio.
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