La settimana delle obbligazioni: Banche centrali tra prudenza e sostegno

La settimana delle obbligazioni
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I verbali della riunione di settembre della Banca centrale europea delineano un contesto di stabilità monetaria in un’economia dell’area euro in rallentamento, ma con un’inflazione ormai prossima all’obiettivo del 2%. Il Consiglio della Bce ha, così, deciso di mantenere invariati i tassi di interesse, ritenendo che la politica monetaria si trovi “in un buon punto” del ciclo restrittivo. Secondo la Bce, l’economia si muove con una crescita ancora modesta – il Pil del primo semestre 2025 è aumentato dello 0,7% – e prevede per i prossimi anni un’espansione limitata: 1,2% nel 2025 e 1% nel 2026. Il mercato del lavoro, pur restando solido con un tasso di disoccupazione attorno al 6,2%, inizia a mostrare segnali di indebolimento. Immancabile, ovviamente, il riferimento ai rischi derivanti dalle tensioni geopolitiche e commerciali globali, oltre a citare gli effetti di un euro più forte e di una domanda esterna in calo. In questo quadro, la prudenza resta la linea guida: la Bce continuerà a monitorare con attenzione l’andamento dei prezzi, che secondo le proiezioni dovrebbero stabilizzarsi intorno al 2% nel medio periodo.
Negli Stati Uniti, la Federal Reserve ha, invece, optato per una politica più espansiva. Durante l’ultima riunione, la maggior parte dei membri della Banca centrale Usa ha espresso preoccupazione per l’aumento dei rischi legati all’occupazione, che è stata la giustificazione della decisione di tagliare i tassi nella riunione del mese scorso. Tuttavia, allo stesso tempo, una maggioranza dei partecipanti ha sottolineato i rischi al rialzo che gravano sulle prospettive di inflazione, che resta al 2,9% in agosto, e dunque ancora superiore all’obiettivo ufficiale del 2%. La Fed si trova, così, di fronte a un dilemma: agire per evitare un aumento della disoccupazione, pur consapevoli che un allentamento eccessivo potrebbe riaccendere le pressioni sui prezzi. Il presidente della Fed ha riassunto efficacemente il momento: “non esiste una soluzione priva di rischi”.
Un percorso simile, seppur in un contesto economico e politico più fragile, è stato intrapreso dalla Banca centrale della Polonia, che ha proseguito nel ciclo di allentamento monetario, tagliando a sorpresa i tassi dello 0,25%. La riduzione dei tassi, motivata dal rallentamento dell’inflazione – rimasta sotto il 3% per due mesi consecutivi – è stata resa possibile anche dalle misure governative per contenere i costi energetici, come il prolungamento del blocco dei prezzi dell’elettricità per le famiglie.
Infine, la Reserve Bank of New Zealand, la Banca centrale della Nuova Zelanda, ha sorpreso i mercati con un taglio dei tassi più ampio del previsto, riducendo il costo dello 0,5% anziché dello 0,25%, portandoli al 2,50%. La decisione, giunta dopo un secondo trimestre negativo, riflette la debolezza dell’economia neozelandese, che dopo un promettente inizio d’anno ha registrato un calo del Pil dello 0,9% sul trimestre. Il taglio della scorsa settimana potrebbe non essere l’ultimo: la Banca ha dichiarato di essere pronta a ulteriori interventi, se necessari.
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