La settimana delle obbligazioni: tra ripartenze e fragilità
La settimana delle obbligazioni
La settimana delle obbligazioni
Negli Stati Uniti, la settimana è stata dominata dalla conclusione — o meglio, dalla sospensione temporanea — del lungo shutdown federale. Dopo oltre quaranta giorni di paralisi, il Congresso ha approvato un finanziamento ponte che permette al Governo di tornare operativo fino a gennaio. La riapertura riguarda agenzie, dipartimenti e servizi rimasti fermi per settimane, con impatti concreti sull’economia e sulla vita quotidiana. Sebbene l’economia americana abbia mantenuto una sorprendente resilienza, lo shutdown ha comunque prodotto costi significativi (si stimano 15 miliardi di dollari per ogni settimana di chiusura) e messo in evidenza le fragilità del contesto politico. Nonostante questo passo avanti, la ripartenza non sarà immediata: secondo il segretario dei trasporti, potrebbero volerci fino a sette giorni prima di riuscire ad allentare le restrizioni sui voli nei principali aeroporti, mentre l’intera macchina federale potrebbe impiegare giorni o perfino settimane per smaltire l’enorme arretrato accumulato dal 1° ottobre. La sua conclusione elimina, almeno nel breve termine, una fonte rilevante di incertezza, anche se l’instabilità istituzionale rimane un fattore da monitorare. Insomma, non si tratta di una pace, ma solo di una tregua.
Dagli Stati Uniti all’Europa, dove il terzo trimestre dell’anno ha offerto segnali lievemente migliori del previsto: il Pil dell’eurozona è cresciuto dello 0,2% su base trimestrale e dell’1,4% su base annua. Un’espansione modesta, che conferma una ripresa lenta e mostra, soprattutto, una ripresa irregolare. La zona euro continua infatti a procedere a velocità diverse: i Paesi che rappresentano il 49% del prodotto interno lordo dell'Unione monetaria non sono riusciti a registrare alcuna espansione durante il periodo, con Germania e Italia, due economie chiave, che rimangono sostanzialmente stagnanti, mentre la crescita è trainata soprattutto da Spagna e Francia. Per quest’ultima, però, la sostenibilità del ritmo attuale è messa in discussione dalle incertezze politiche e fiscali.
Il quadro asiatico ruota invece attorno alla Cina, dove i dati di ottobre raccontano una situazione complessa. Da un lato, la produzione industriale e gli investimenti mostrano un rallentamento marcato, con segnali di debolezza che pesano sull’andamento complessivo dell’economia. L’immobiliare continua a rappresentare un punto critico e la domanda interna fatica a rafforzarsi in modo convincente. Dall’altro lato, però, arriva un’inversione sul fronte dei prezzi: dopo mesi di pressioni deflazionistiche, l’inflazione torna positiva (+0,2% annuo), mentre la componente core sale all’1,2%. È un primo segnale che potrebbe indicare un miglioramento nella dinamica dei consumi, anche se gran parte dell’aumento è legata a fattori stagionali e di confronto favorevole con l’anno precedente. La vera domanda è se questi segnali siano il preludio di un cambiamento più strutturale o solo un rimbalzo momentaneo.
La settimana appena trascorsa restituisce un’istantanea del mondo economico ancora opaca: gli Stati Uniti rimuovono un ostacolo significativo, l’Eurozona cresce ma senza slancio e la Cina alterna segnali di ripresa a dati che confermano un rallentamento di fondo.
COME SONO ANDATI I PRODOTTI