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Crowdfunding senza confini? Solo sulla carta

L’Europa ha creato un mercato unico, ma investire all’estero resta complesso.

L’Europa ha creato un mercato unico, ma investire all’estero resta complesso.

Data di pubblicazione 19 novembre 2025
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L’Europa ha creato un mercato unico, ma investire all’estero resta complesso.

L’Europa ha creato un mercato unico, ma investire all’estero resta complesso.

L’Europa ha creato un mercato unico, ma investire all’estero resta complesso: pochi investitori affrontano lingue, fiscalità e regole che cambiano da Paese a Paese.

L’idea di un crowdfunding davvero europeo, dove un investitore italiano può sostenere una startup spagnola o un progetto immobiliare tedesco con la stessa semplicità con cui oggi compra da un e-commerce estero, circola da anni. Sulla carta è già realtà: il regolamento europeo ECSPR ha uniformato molte regole e ha creato una licenza unica per le piattaforme di equity e lending. In pratica, però, il mercato cross-border esiste soprattutto per una minoranza di investitori più consapevoli, abituati a muoversi in contesti internazionali. Per la maggior parte degli utenti, il crowdfunding resta ancora un fenomeno nazionale, fatto di piattaforme e progetti del proprio Paese.

Se si guarda al quadro europeo, il crowdfunding cross-border è già presente, ma resta una pratica minoritaria. Le campagne vengono aperte a investitori di tutta l’Unione e, tecnicamente, nulla impedisce di partecipare oltreconfine. Eppure, la maggior parte degli utenti continua a investire quasi esclusivamente nel proprio Paese. I flussi esteri esistono e in alcuni mercati contano già una quota significativa, ma non rappresentano ancora la normalità. Per ora, chi investe davvero in progetti internazionali è una fascia più ristretta e consapevole di utenti, abituati a muoversi tra lingue diverse, documentazione più complessa e mercati che funzionano secondo logiche non sempre intuitive per chi arriva dall’esterno.

Il quadro regolamentare, in effetti, non è più il problema principale. ECSPR ha introdotto documenti standardizzati, un passaporto europeo per le piattaforme e test di appropriatezza comuni. Che la piattaforma sia francese, tedesca o spagnola, il meccanismo di base è lo stesso: identificazione dell’investitore, avvertenze sul rischio, lettura della scheda informativa dell’offerta, e poi la possibilità di sottoscrivere. Questo però non basta a rendere l’esperienza davvero uniforme. Le piattaforme restano ancora molto legate ai rispettivi mercati locali, con documenti nella lingua nazionale, assistenza clienti non sempre internazionale e procedure che, pur compatibili con ECSPR, mantengono un’impronta domestica.

Per l’investitore italiano che guarda all’estero, la prima barriera reale è la lingua. Il Key Investment Information Sheet, il documento fondamentale che riassume rischi e caratteristiche dell’investimento, non è obbligatorio in italiano e spesso non lo è neppure in inglese. In Germania, per esempio, molte piattaforme di equity o immobiliare presentano informazioni esclusivamente in tedesco, e anche in Francia la maggior parte delle schede è disponibile solo in francese. La Spagna, invece, tende a pubblicare più contenuti bilingue, segno che il mercato è già leggermente più internazionale. In ogni caso, leggere documenti legali e finanziari in un’altra lingua richiede tempo, attenzione e una certa competenza: è l’opposto della semplicità che molti associano erroneamente al crowdfunding.

La seconda barriera è informativa. Investire in una PMI tedesca o in un progetto immobiliare francese significa confrontarsi con mercati locali, indicatori di performance, abitudini contabili e modelli di business spesso diversi da quelli italiani. Ciò che in Spagna può sembrare un tasso interessante per un lending immobiliare, in Italia potrebbe essere percepito come basso o rischioso. E questo non per una differenza nei progetti, ma per differenze culturali e di mercato che un investitore non abituale potrebbe non cogliere.

Poi c’è il capitolo fiscalità, che è il vero motivo per cui molti esitano. L’investitore deve dichiarare autonomamente i redditi, le eventuali plusvalenze e i proventi periodici, traducendo in documenti compatibili con la normativa fiscale nazionale report spesso pensati per altri ordinamenti. Non è impossibile, ma richiede precisione. È comprensibile che un investitore alle prime armi scelga strade più semplici, rimanendo su piattaforme italiane.

Anche il tema della tutela gioca un ruolo. Se qualcosa va storto, il dialogo con la piattaforma dovrà avvenire con un’assistenza clienti straniera e sotto la supervisione dell’autorità di vigilanza di un altro Paese. Non significa che ci sia meno protezione, la disciplina è europea, ma la percezione di distanza, linguistica e burocratica, è un ostacolo psicologico forte.

Eppure, esempi di cross-border funzionante esistono già, anche in Italia. Ener2Crowd, piattaforma italiana dedicata ai progetti di energia rinnovabile, ha avviato operazioni tra Italia e Spagna. Per l’investitore significa poter finanziare, con un’unica registrazione, progetti energetici nei due Paesi, senza doversi confrontare con valute diverse e con una complessità tutto sommato contenuta. L’energia rinnovabile, per sua natura standardizzata, si presta particolarmente a questo tipo di passaggio: un impianto fotovoltaico in Spagna è tecnicamente simile a uno italiano, e la comprensione del progetto non richiede un forte radicamento nel mercato locale.

Ciò che si vede oggi, quindi, è un mercato europeo che permette il cross-border, ma che non lo facilita automaticamente. A farlo sono soprattutto investitori molto esperti, abituati a muoversi in più lingue, a leggere bilanci internazionali e a gestire con cura la fiscalità. Chi investe occasionalmente preferisce invece la comfort zone nazionale, dove la lingua è familiare, la normativa più intuitiva e la percezione di controllo maggiore.

Il risultato è un’Europa che ha costruito le fondamenta del crowdfunding paneuropeo, ma che non ne ha ancora realizzato la piena democratizzazione. Il cross-border continua a essere un’opportunità, ma rimane un territorio dove si addentrano soprattutto investitori informati e consapevoli e che hanno studiato molto. Non è un limite strutturale: è una fase di transizione che richiede tempo, ma soprattutto una accresciuta cultura finanziaria, oltre, ovviamente, a un po’ di coraggio, perché lo ricordiamo, si tratta comunque di forme di investimento spesso rischiose e comunque quasi sempre illiquide.