Champagne, meno bollicine in Borsa
Champagne
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Lo champagne continua a essere il simbolo per eccellenza delle feste, ma fuori dal calice il quadro è molto meno frizzante, soprattutto per chi guarda al settore come investimento o come industria in crescita.
Il 2025 si inserisce in una fase di normalizzazione dopo il boom post-Covid. I volumi di vendita globali hanno continuato a scendere: dalle oltre 325 milioni di bottiglie del 2022 si è passati a circa 299 milioni nel 2023 e a circa 271 milioni nel 2024. Per l’intero 2025 le stime indicano un ulteriore calo, tra il 2% e il 4%, con un mercato attorno a 263 milioni di bottiglie e un fatturato in flessione rispetto ai 5,85 miliardi di euro del 2024.
Il calo dei volumi di vendita sembra ormai essere strutturale. Per difendere la redditività, i produttori hanno aumentato regolarmente i prezzi, ma questo approccio ha dei limiti evidenti in un contesto di consumi più prudenti, forte concorrenza e crescente sensibilità al prezzo. A pesare sono stati anche fattori esterni: il rallentamento della domanda in Cina, il dollaro più debole, le tensioni commerciali e, negli Stati Uniti – primo mercato di esportazione – una riduzione dei prezzi medi all’export.
Questa fragilità si riflette chiaramente sui mercati finanziari. Le principali case quotate di champagne hanno registrato performance borsistiche deludenti dall’inizio dell’anno: cali a doppia cifra per Laurent-Perrier, Vranken-Pommery e Lanson-BCC, e una flessione molto più marcata per Pernod Ricard. Fa eccezione relativa LVMH, che, grazie alla forte diversificazione e a un’esposizione limitata allo champagne, regge meglio.
Il messaggio del mercato è chiaro: chi produce solo champagne è penalizzato, sia per la debolezza strutturale dei volumi, sia per la scarsa liquidità dei titoli in Borsa. Il settore resta difficile da valorizzare finanziariamente, soprattutto al di fuori dei grandi gruppi del lusso. Le differenze tra le aziende sono marcate. LVMH, con marchi iconici come Moët, Veuve Clicquot e Dom Pérignon, trae solo una quota limitata del fatturato da vini e liquori e può contare sulla forza della moda e pelletteria. La strategia punta su una ripresa della domanda asiatica e su mercati extra-lusso. Pernod Ricard, molto diversificata negli alcolici, sta puntando sul segmento lusso, ma incontra difficoltà in Cina e sta rivedendo il portafoglio champagne. Laurent-Perrier, Lanson-BCC e Vranken-Pommery restano più esposte al prodotto champagne in senso stretto, con margini sotto pressione, forte dipendenza dall’export o dal mercato domestico e minore capacità di assorbire gli shock. Nel complesso, il mercato premia la diversificazione e penalizza la specializzazione.
Guardando al 2026 e oltre, le prospettive restano prudenti. Con un valore inferiore ai 6 miliardi di euro, lo champagne è un mercato di nicchia se confrontato con altri segmenti degli alcolici (come whisky o vino). Le stime indicano una crescita annua intorno al 3%, sostanzialmente in linea con l’aumento dei prezzi più che con un’espansione dei volumi. La produzione è rigidamente limitata dalla geografia: solo 34.000 ettari nella regione della Champagne. Questa scarsità sostiene il posizionamento di lusso, ma allo stesso tempo impedisce una crescita significativa. Per questo motivo le maison puntano sempre più su cuvée di prestigio, millesimati e prodotti ad alto valore aggiunto, riducendo l’enfasi sui grandi volumi.
Nel frattempo, lo spazio lasciato libero nei segmenti di fascia medio-bassa viene occupato da alternative più accessibili come Prosecco, Cava spagnolo e Crémant francese. Questi prodotti intercettano un consumo più quotidiano e meno legato al lusso, conquistando quote importanti in termini di volumi globali. La risposta dello champagne è una strategia sempre più orientata al valore più che alla quantità: controllo disciplinato delle rese, rafforzamento dell’immagine di esclusività, prezzi elevati e focus sui mercati ad alto potere d’acquisto, in particolare sugli Stati Uniti, e clientela internazionale premium. In sintesi, il settore dello champagne resta forte sul piano simbolico e dell’immagine, ma strutturalmente fragile sul fronte della crescita. I volumi calano, la concorrenza aumenta e il futuro si gioca soprattutto sulla capacità di vendere meno bottiglie, ma più care. Per i consumatori significa uno champagne sempre più elitario; per gli investitori, un comparto da trattare con cautela, dove conta più la solidità del gruppo che la notorietà delle bollicine.
Venendo ai nostri consigli, ti consigliamo di continuare ad acquistare LVMH (632,1 euro; Isin FR0000121014), genera il 6,7% del suo fatturato da vini e liquori. Sta rafforzando il suo posizionamento nel segmento delle bevande ultra-premium per incrementare le vendite. Puntiamo su una ripresa delle vendite in Cina. Laurent-Perrier (91,6 euro; Isin FR0006864484) punta su prodotti premium. Ha chiuso il 1° semestre con redditività in calo. Ha una forte esposizione ai mercati internazionali (87% del fatturato). Non acquistare. Lanson-BCC (31,2 euro; Isin FR0004027068) sta perseguendo una strategia focalizzata sul mercato di fascia medio-alta. Ha acquisito il marchio di champagne Heidsieck ed è fortemente esposta alla Francia (50% del fatturato). Non acquistare. Vranken-Pommery Monopole (11,4 euro; Isin FR0000062796) è presente anche nei settori del vino, del porto, ecc. Ha recentemente venduto lo champagne Heidsieck per ridurre il debito e riorientare la produzione. La sua strategia è quella di riorientare il business dello champagne sul marchio Pommery. Non acquistare. Ti consigliamo di mantenere, invece, Pernod Ricard (73,16 euro; Isin FR0000120693) ha un profilo molto diversificato nel settore degli alcolici, con lo champagne che rappresenta il 5-7% del suo fatturato. Pernod Ricard sta concentrando la sua strategia sul segmento premium, ma sta incontrando difficoltà nel mercato cinese.