Certificate e compensazione: panoramica e linee guida (parte 3)

Tasse, compensazione e certificate
Tasse, compensazione e certificate
Quando ci si trova nella situazione di dover compensare una minusvalenza in scadenza a breve – ad esempio entro pochi mesi – le possibilità di utilizzo dei certificati si riducono notevolmente. Il problema è ancora più evidente se si opera con una banca che applica la tassazione al momento del rimborso (o della vendita), rettificando ogni volta il prezzo fiscale di carico in seguito allo stacco delle cedole. Vediamo possibili soluzioni se ti ritrovi in questa situazione e la tua banca applica questa tipologia di compensazione.
La soluzione teoricamente più semplice sarebbe quella che ripetiamo spesso: scegliere certificati con una scadenza allineata a quella delle minusvalenze da compensare. Tuttavia, se la minus scade entro tre o quattro mesi, la difficoltà sta nel trovare un prodotto che, in così poco tempo, sia in grado di generare plusvalenze sufficienti a coprirla.
Prendiamo un esempio: un certificato che scade fra tre mesi, con cedola al 12% annuo. In tre mesi si incasserebbero circa tre cedole, pari all’1% ciascuna. Non è però detto che sia possibile incassarle tutte, e comunque il certificato potrebbe avere un prezzo di acquisto molto elevato. Immaginiamo di comprarlo a 1.010: con tre cedole da 10 €, il prezzo fiscale di carico si rettificherebbe a 980. A scadenza, il rimborso a 1.000 genererebbe solo un guadagno del 2%. Per compensare minusvalenze significative, bisognerebbe quindi investire somme molto elevate, il che spesso non è realistico o comunque rischioso. Naturalmente, anche in tre mesi i mercati possono subire correzioni: se i sottostanti dovessero avvicinarsi alla barriera, il rimborso a 1.000 potrebbe saltare. Se invece sono molto distanti dalla barriera – con un margine del 30-40% – è più probabile che il certificato vada a scadenza regolarmente e paghi le cedole. Ma proprio perché il rischio è basso, il rendimento sarà proporzionalmente contenuto e il prezzo di acquisto elevato, magari 1.020 o 1.025. In questo modo, si rischia di dover immobilizzare anche 100-200 mila euro solo per ottenere un rendimento dell’1%, utile a compensare minus di 10-20 mila euro. Una soluzione, quindi, poco efficiente e non particolarmente appetibile. Detto ciò, questa resta comunque una possibilità, pur con tutti i limiti del caso. Serve a capire come ci si può muovere, ma non è certo una strategia che non consigliamo: mettere somme ingenti per tre mesi solo per recuperare minus non è il massimo della convenienza.
Un’alternativa è l’acquisto di certificati autocallable e step down, cioè con richiamo automatico entro fine anno e con la soglia dei sottostanti che si abbassa progressivamente. Facciamo un esempio: un autocallable che, da settembre in poi, riduce ogni mese dell’1% il livello richiesto per il rimborso automatico. A dicembre, basterebbe che i sottostanti fossero al 97% del livello iniziale per ottenere il richiamo. Se il certificato viene acquistato intorno a 1.000 e paga cedole del 12% annuo, si potrebbe puntare a incassare tre o quattro cedole. Anche qui il rendimento sarebbe intorno al 3-4%. Il problema, però, è che il richiamo automatico non è garantito. Se non avviene, a dicembre ci si troverebbe con un prezzo fiscale di carico più basso (ad esempio 960 dopo quattro cedole staccate), ma con il certificato che quota comunque sotto quel livello, proprio perché non è scattato l’autocall e i sottostanti sono scesi. In tal caso, non solo non si riuscirebbe a compensare la minus, ma nemmeno a generare plusvalenze dalla vendita. In sintesi, questa seconda strada è anch’essa percorribile, ma si tratta più di una scommessa sul fatto che avvenga l’autocall e che i sottostanti reggano.
Un altro espediente potrebbe essere quello di acquistare un certificate che ha un prezzo basso, molto basso, sotto il prezzo di rimborso, perché uno (o più dei sottostanti) è sceso molto ed è molto vicino alla barriera oppure è anche sotto di essa: anche qui, però, si tratta di una scommessa. Si punta sul fatto che nel poco tempo che rimane il sottostante non perda ancora, ma addirittura recuperi terreno, e quindi si riesca ad avere un rimborso pari al valore nominale. Oppure, anche se non recupera a sufficienza per avere un rimborso al valore nominale, si potrebbe guadagnare comunque qualcosa in termini di prezzo. Si può usare quindi un qualsiasi certificate a barriera, così come si potrebbe decidere di usare un certificate Welcome Coupon, dopo che ha staccato la cedola. Perché dopo? Prima di tutto perché, visto che parliamo della situazione in cui la banca effettua la compensazione solo a scadenza e con rettifica del prezzo di carico fiscale, l’utilizzo di questo prodotto per procrastinare la minus non funziona. In secondo luogo, perché avendo staccato una cedola corposa, del 30%... per esempio, il prezzo sarà sceso e molto. Comprandolo dopo lo stacco, si acquista ad un prezzo molto basso e si può puntare sul fatto che i sottostanti guadagnino e il prezzo salga. In entrambi i casi, però, non si può definire a priori né se ci sarà una plusvalenza, né di quale ammontare.
Come puoi vedere, sono tutti casi in cui, purtroppo, c’è un’alea non solo se si verificherà una plusvalenza, ma anche di quale ammontare. Questo è il motivo per cui non bisogna mai ridursi ad avere una minusvalenza in scadenza e correre a compensare a tutti i costi. Inoltre, è sempre per forza razionale compensare a tutti i costi? È un altro argomento che approfondiremo.
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