Quando una startup decide di fare una operazione di crowdfunding è costretta a mettersi a nudo. Rende noti i suoi bilanci, cerca di spiegare nei minimi dettagli qual è il progetto che ha in mente, presenta tutte le persone dei ruoli chiave. Una volta che l’investimento è stato fatto, però, è molto più difficile avere abbastanza dati per capire come sta andando, un po’ perché il valore reale dell’investimento non è conoscibile fino al momento della sua realizzazione, quando si vendono le quote a qualcun altro o quando la società sbarca in Borsa, un po’ perché i bilanci delle startup hanno sempre una capacità informativa limitata, essendo il vero valore del business proiettato nel futuro. In particolare, poi, per chi non ha partecipato alle singole perazioni di crowdfunding è ancora più difficile farsi un’idea perché spesso circolano poche informazioni in rete. E quindi gli viene difficile capire se è un mondo su cui valga la pena puntare.
Una valutazione di massima ce la forniscono, però, alcuni report sul settore che ci dicono come è andato fin qui il crowdfunding sulla base di uno studio diretto di molte società e ci aiutano a capire meglio come valutare le informazioni che sono pubblicate da chi propone il crowdfunding. La fotografia, anche se è una panoramica vista un po’ dall’altro se non altro, ci ricorda una cosa molto importante: l’equity crowdfunding è rischioso! La possibilità che una startup non vada come spera di andare è molto alta. I guadagni possono esserci, ma occorre investire con attenzione.
L’8% va incontro a fallimento
Per l’esattezza si tratta di 78 società sulle 963 che hanno concluso con successo la loro prima campagna di crowdfunding: è quanto emerge dai dati pubblicati nel 9° Report italiano sul Crowdinvesting dell’osservatorio crowdinvesting del Politecnico di Milano alle pagine 27 e seguenti che trovi qui: www.osservatoriefi.it/efi/download/9-report-italiano-sul-crowdinvesting/ ed è uscito la scorsa estate. In particolare, si nota che poco meno di un quarto ha dovuto battere cassa di nuovo, il 60% circa sono ancora attive e il resto (poco meno dell’8%) hanno finito con successo.
Sempre nello stesso report si legge che su un campione di circa 400 imprese analizzate tra il 2014 e il 2022 solo il 6% dopo un anno era riuscita a fare ricavi in linea o migliori rispetto a quanto previsto nel business plan proposto agli investitori. Addirittura, i 2/5 avevano fatto meno di un quarto del previsto e, oltre a questi c’era una quota pari a 1/6 che aveva fatto meno di un centesimo di quanto pianificato. A distanza di 3 anni la quota di chi era rimasto con risultati in linea o superiori al previsto era scesa al 2%.
Una fonte alternativa di informazioni è il Report performance emittenti Equity crowdfunding Italia di Italian tech alliance che trovi qui: www.italiantechalliance.com/_files/ugd/ffd03c_dc87da36e0bb44c188f602a0f1280d17.pdf uscito a novembre 2023. Qui le osservazioni sono circa 270, ma il dato è che nel 2014-20 il fatturato mediano (utilizzato perché considerato più significativo di quello medio) è stato del 62% sotto le attese, un dato perfettamente compatibile con quello dell’altro studio.
Il dato interessante è a pagina 21 e vi si legge che un emittente su sei è fallito, e poco meno di uno su sei è malmesso. Ce l’hanno fatta meno di uno su sette, e circa uno su sette è sulla strada di ottenere una crescita più o meno discreta. Il resto (i due quinti del campione) stava avendo una performance non brillante.
Avanti, sì, ma con prudenza!
I dati che vi abbiamo mostrato sono presi da due fonti diverse. Potrete divertirvi voi stessi ad approfondire i dettagli leggendo i report originali, ma quanto abbiamo visto ci basta per le conclusioni. Fatta la debita premessa che non si tratta sempre di dati recentissimi, le conclusioni pur calcolate su campioni e periodi diversi sono coerenti con l’idea che il tasso di successo e il tasso di insuccesso più o meno si equivalgono, per cui non si può solo "sparare nel mucchio" e vederecome va. Insomma, come dicevamo, l’equity crowdfunding… è rischioso!
Per questo ribadiamo che chi punta sull’equity crowdfunding non deve farlo per il miraggio degli incentivi fiscali. Deve dedicargli solo una parte residuale dei propri soldi e deve cercare di diversificare su più progetti. Infine, deve studiarsi attentamente le società e le idee su cui va a puntare. Ciò non è una garanzia di riuscita, ma più che mai qui vale l’adagio: non capisco, non compro. Ha senso investire in un progetto solo se abbiamo una idea di ciò di cui si tratta. Se scelgo di investire in un produttore di barche elettriche devo conoscere un minimo il mondo della nautica, se scelgo di acquistare quote di una startup che offre servizi alle farmacie devo avere almeno una vaga idea di come funziona il mondo dei servizi alla vendita al dettaglio. In tutti gli altri casi il gioco potrebbe non valere la candela.