News Crowdfunding

Giornalismo e crowdfunding: corrispondenze dall’estero

Il crowdfunding giornalistico può diventare redditizio con due condizioni principali: che l’attività generi ovviamente utili, e che sia possibile monetizzare le quote rivendendole.

Il crowdfunding giornalistico può diventare redditizio con due condizioni principali: che l’attività generi ovviamente utili, e che sia possibile monetizzare le quote rivendendole.

Data di pubblicazione 24 giugno 2025
Tempo di lettura: ##TIME## minuti

condividi questo articolo

Il crowdfunding giornalistico può diventare redditizio con due condizioni principali: che l’attività generi ovviamente utili, e che sia possibile monetizzare le quote rivendendole.

Il crowdfunding giornalistico può diventare redditizio con due condizioni principali: che l’attività generi ovviamente utili, e che sia possibile monetizzare le quote rivendendole.

Negli ultimi dieci anni il crowdfunding ha conosciuto una crescita anche nel mondo dell’editoria. Cerchiamo di scoprirne di più attraverso alcune esperienze nate all’estero.

 

Accanto a modelli tradizionali come la pubblicità o gli abbonamenti, sono nati progetti giornalistici finanziati direttamente dal pubblico, attraverso modelli di sottoscrizione o vere e proprie raccolte di equity crowdfunding. Lo scopo era spesso garantire la sopravvivenza di voci indipendenti, ma alcuni sono stati pensati anche per offrire delle ricompense agli investitori. Si tratta di un fenomeno ancora poco esplorato in Italia, ma che all’estero sta mostrando segni di vita. Ecco chi ci sta riuscendo – e perché.

Non solo ideali: chi investe cerca guadagni

In un mondo in cui le nuove tecnologie hanno rivoluzionato i modi di comunicare e di creare contenuti il mondo della stampa è quantomeno complesso e difficile. Non a caso delle azioni in selezione appartenenti al settore nessuna è all’acquisto. Questo non significa, tuttavia, che non ci siano tentativi di cercare di creare qualcosa di remunerativo. In questa sede pensiamo ad alcuni progetti nati attraverso operazioni di equity crowdfunding. Un meccanismo già rodato in altri settori, ma che nel giornalismo ha trovato solo talora una forma concreta.

Republik (Svizzera)

Un primo caso di studio è Republik (https://www.republik.ch/en), giornale digitale lanciato a Zurigo nel 2018 con una raccolta fondi record. In poche ore, il progetto ha superato l’obiettivo iniziale di 750.000 franchi svizzeri, raccogliendo alcuni milioni di franchi nel giro di poche settimane. Parte dei fondi sono arrivati sotto forma di contributi da abbonati, ma una quota significativa è stata investita da privati cittadini in cambio di partecipazioni alla testata (per l’azionariato potete vedere qui https://www.republik.ch/aktionariat).

Republik ha promesso trasparenza sul piano finanziario e editoriale e ogni trimestre, l’azienda pubblica report dettagliati su iscrizioni, retention, bilancio e costi fissi (vedi qui per il bilancio in tedesco https://cdn.repub.ch/s3/republik-assets/repos/republik/page-about/files/9cecc4a3-2b97-47c0-8e06-69bbed2e94d2/republik_geschaeftsbericht_2023-2024.pdf). Oggi l’impresa ha alcune decine di dipendenti e una base stabile di abbonati.

Il modello di business si fonda su entrate ricorrenti da abbonamento: circa 240 franchi svizzeri l’anno. Questo ha permesso alla società di ridurre drasticamente la dipendenza da pubblicità e di concentrarsi su contenuti d’approfondimento e inchieste.

Per gli investitori che hanno aderito alle prime fasi, il guadagno non è ancora giunto in forma di dividendi o di exit, ma nel medio periodo non pare esclusa la quotazione.

Krautreporter (Germania)

Nel 2014, la scena berlinese ha visto nascere Krautreporter, un’altra testata digitale che ha puntato tutto sulla trasparenza e l’indipendenza. Con una campagna iniziale da oltre 1,2 milioni di euro, il progetto ha raccolto fondi sia da lettori, sia da microinvestitori, garantendo quote di partecipazione di una cooperativa (qui lo statuto: https://genossenschaft.krautreporter.de/satzung)

Il modello di business si basa su un abbonamento annuale, niente pubblicità, focus su contenuti esclusivi e longform journalism. Al momento è comunque previsto che gli utili siano reinvestiti nell’attività. In teoria è comunque possibile cedere le proprie quote con un certo preavviso.

Guadagni: come e quando

Il crowdfunding giornalistico può diventare interessante con due condizioni principali: che l’attività generi ovviamente utili, e che sia possibile monetizzare le quote rivendendole. Di solito nel caso del crowdfunding ciò avviene quando il progetto viene collocato sul mercato o venduto a società più grandi. Al momento però questi progetti mostrano anche una forte componente ideale verso l’indipendenza del giornalismo, per cui questa prospettiva non può essere data per scontata. Di per sé il settore resta ad alto rischio e anche iniziative partite con grandi ambizioni internazionali – come The Correspondent in USA, figlia di De Corrispondent, una testata nata con donazioni fatte col crowdfunding tuttora attiva nei Paesi Bassi con successo – hanno chiuso in pochi mesi.

Un altro ostacolo è la mancanza di mercati secondari liquidi per le quote. A oggi, un investitore che entra in una società editoriale tramite crowdfunding non ha un modo semplice per rivendere la propria partecipazione, se non tramite accordi privati. Infine, bisogna tenere conto della concorrenza: testate nate da campagne di crowdfunding oggi devono competere con colossi del settore o newsletter indipendenti sostenute da singoli autori, spesso con struttura molto più snella.

Non ci stupisce che queste esperienze al momento manchino in Italia, ma le poche che abbiamo visto all’estero sono comunque un chiaro esempio di come l’equity crowdfunding possa andare a creare realtà nuove anche in settori consolidati e dove meno te l’aspetteresti.