Il punto su rame e petrolio

Grafico
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Rame in lieve calo da giugno
Dalla nostra analisi del giugno scorso (vedi n° 1516) i prezzi del rame sono scesi di circa il 2,5%. Una delle ragioni principali di questo andamento poco brillante è la crescita economica cinese, che è apparsa generalmente meno robusta delle previsioni. Il Paese, attualmente, vale quasi la metà della domanda globale di rame, anche per effetto dell’ampio piano di investimenti in energie rinnovabili – soprattutto per quanto riguarda il solare. E proprio il settore delle energie e della mobilità verde ha dato segnali di rallentamento in altre parti del mondo – vedi i dati non particolarmente esaltanti delle vendite di auto elettriche in Europa, con i consumatori che sembrano iniziare a essere frenati dagli elevati prezzi di vendita di tali auto. Resta, però, il fatto che nel lungo periodo la transizione energetica resta inevitabile e che alcuni grandi produttori di rame hanno un po’ rimandato gli investimenti in nuove miniere, fatto che rischia di determinare uno squilibrio nel rapporto tra domanda e offerta di rame, a tutto favore dei prezzi della materia prima nel lungo periodo.
Il rame è una delle materie prime centrali non solo per la realizzazione di batterie elettriche, auto elettriche, pannelli solari, turbine elettriche, ma anche, grazie all’eccellente capacità di condurre l’elettricità, per tutte le reti di trasmissione dell’energia a case e imprese. Il rame è ormai diventato una sorta di “sensore” dei progressi nell’avanzamento della transizione energetica.
Il punto sugli investimenti sul rame
Viste le incertezze a medio-breve termine, ti sconsigliamo di acquistare Etc o altri prodotti legati direttamente alle oscillazioni del rame. Che fare, invece, con le azioni dei produttori di rame suggeriti per una scommessa sul recupero del prezzo del rame nel lungo periodo? Nella nostra analisi di giugno ti avevamo suggerito le azioni del produttore canadese First Quantum Minerals (13,31 dollari canadesi; Isin CA3359341052): pur tra alti e bassi il titolo fino alla fine di ottobre aveva viaggiato non distante dai valori della nostra prima analisi, ma poi c’è stato il tracollo che l’ha portato oggi su valori di circa il 60% inferiori rispetto ad allora. La mazzata è arrivata da Panama: il gruppo punto molto sul Paese e a ottobre ha siglato un accordo con le Autorità locali per sviluppare ulteriormente la miniera in loco. Questa volta, però, l’accordo ha generato violente proteste da parte della popolazione, che hanno paralizzato la capitale. In risposta alle proteste le autorità di Panama hanno fatto un po’ marcia indietro, indicendo un referendum – previsto per il 17 dicembre – sulla revoca del contestato contratto. Inoltre, hanno dichiarato che non ci saranno ulteriori concessioni allo sviluppo minerario di rame nel Paese. Tutto questo ha, ovviamente, rappresentato una mazzata per la First Quantum Minerals, per cui Panama è rilevante (il rame di Panama pesa per circa il 40% del giro d’affari della società canadese). L’incertezza, al momento, è elevata: anche in caso di esito favorevole del referendum per la società, ci potrebbero essere comunque ricorsi, sentenze legali e costi aggiuntivi per l’estrazione. Per questo motivo, nonostante il calo e le buone prospettive del rame nel lungo periodo, consigliamo al momento di limitarti a mantenere le azioni First Quantum Minerals – il rischio è ulteriormente aumentato e quindi non sono comunque azioni adatte agli investitori di stampo più prudente.
Le altre azioni che abbiamo consigliato in passato per una scommessa sul rame erano quelle della Freeport MrMoRan (36,84 Usd; Isin US35671D8570) – le vendite di rame pesano per circa il 75% del giro d’affari del gruppo (il resto è per lo più legato alle vendite di oro). Dall’analisi di metà giugno hanno perso il 7,6%, amplificando il ribasso del prezzo del rame: i conti trimestrali non sono stati male, ma le prospettive per l’ultima parte dell’anno sono meno brillanti per alcuni ritardi di produzione in alcune miniere. Se hai le azioni, limitati a mantenerle.
Il petrolio ripiega dopo la corsa
Il prezzo del petrolio ha registrato oscillazioni ancora più rilevanti rispetto a quello del rame: da metà giugno alla fine di settembre ha prima fatto un’impennata del 26% (il riferimento è alla qualità brent), ma poi ha registrato un andamento discendente che gli ha fatto perdere quasi tutto quel guadagno – oggi viaggia solo su valori superiori del 4,6% rispetto a metà giugno. Da un lato, la riduzione all’attività delle trivelle da parte di alcuni Paesi importanti (Arabia Saudita e Russia) sostiene i prezzi dell’oro nero, dall’altro, però, i timori legati alla crescita economica globale – soprattutto in Cina – contribuiscono, invece, a creare incertezza sulla forza della domanda d’energia e spingono i prezzi al ribasso. In tale contesto si innestano i problemi geopolitici – vedi il conflitto mediorientale e quello in Ucraina – e quelli legati al cambiamento climatico – ancora una volta è Panama a rappresentare un problema, con i transiti dall’importante Canale ulteriormente ridotti per effetto dell’incredibile siccità in atto nel Paese.
Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia la domanda mondiale di petrolio raggiungerà il picco prima del 2030. Gli storici Paesi produttori (quelli dell’Opec), invece, stimano il picco della domanda più avanti, entro il 2045. In ogni caso, nonostante la transizione verso le energie verdi, il mondo continuerà ad aver sete di petrolio nei prossimi anni, sotto la spinta dei Paesi emergenti.
Il punto sugli investimenti sul petrolio
A complicare il tutto c’è il fatto che le grandi compagnie americane sembrano aver cambiato rotta rispetto alle europee e invece di puntare sulle energie rinnovabili sono tornate a investire in modo massiccio nell’estrazione di petrolio – il calo recente del prezzo del greggio è legato al valore superiore alle attese delle scorte negli Usa e ai livelli record di produzione. In questo contesto puntare, soprattutto nel breve periodo, sul prezzo del petrolio è troppo rischioso: evita tutti prodotti legati alla materia prima – il prezzo è al momento poco sopra gli 80 dollari al barile e non ci aspettiamo un prezzo superiore ai 90 dollari medi nel 2024. Che fare, invece, con le azioni del settore petrolifero consigliate in passato? Negli ultimi tempi si sono distinte in negativo le azioni Chevron (144,90 Usd; Isin US1667641005): dal 19 ottobre hanno perso circa il 14% e viaggiano oggi su valori inferiori di quasi l’8% rispetto a quelli di metà giugno – nonostante il rialzo del prezzo del petrolio sullo stesso periodo. A pesare, conti trimestrali un po’ deludenti, il rinvio dell’ampliamento di un progetto in Kazakistan, ma, soprattutto, la decisione di scucire circa 50 miliardi di dollari (sarà pagato in azioni Chevron) per acquisire il controllo della connazionale Hess e aumentare ulteriormente la produzione di petrolio negli Stati Uniti. Certo, l’acquisizione ha anche dei risvolti positivi – vedi giacimenti in Guyana – ma ci sembra che Chevron abbia deciso di pagare un po’ troppo le attività di Hess. Le azioni del gruppo hanno indicatori di convenienza lievemente migliori di quelli di alcuni diretti concorrenti Usa del settore, ma riteniamo che le valutazioni del mercato, complice anche la presenza del gruppo al largo delle coste d’Israele, sia sostanzialmente corretta. Limitati a mantenere le azioni Chevron, come ti invitiamo a mantenere, in generale, le altre azioni del settore petrolifero – quelle europee hanno, in media, indicatori di convenienza migliori di quelle americane, ma anche in questo caso, la valutazione del mercato ci sembra corretta viste le pressioni da parte delle Autorità e comunità locali europei per i costosi investimenti in transizione energetica e data la sempre maggiore concorrenza dei giganti americani del settore.
Negli Usa, Exxon Mobil (104,57 Usd; Isin US30231G1022) è stata la prima compagnia a pagare 60 miliardi di Usd per il controllo della Pioneer Natural Resources e appropriarsi delle sue riserve di petrolio da scisti bituminosi. Lo scopo è raggiungere una produzione giornaliera di 5 milioni di barili entro il 2027, ben superiore ai 2,8 milioni e 3,5 milioni al giorno stimati, rispettivamente, da concorrenti europei come Shell e BP per quella data.
Exxon Mobil (104,57 Usd; Isin US30231G1022) dovrà dimostrare di saper integrare bene la nuova società acquisita, in vista dei maggiori costi di estrazione. Le azioni Exxon Mobil hanno perso lo 0,5% da metà giugno: non sono da acquistare, ma se le hai mantienile.
5 mesi e mezzo vissuti nervosamente
Le azioni del settore delle materie prime (grassetto; base 100) non hanno, nel complesso, brillato nel corso degli ultimi mesi – il riferimento è alla nostra analisi di metà giugno – complice un andamento del prezzo del rame (linea di peso intermedio) gravato dalle tensioni sulla forza dell’economia cinese e un andamento del prezzo del petrolio (linea sottile; riportiamo i prezzi della qualità Brent) molto ballerino anche per tensioni geopolitiche.
I dati nel grafico sono in dollari Usa e sono forniti da Refinitiv Datastream. Per puntare in generale sulle materie prime, puoi ancora acquistare le azioni Anglo American (2.216,5 pence; Isin GB00B1XZS820) sulla Borsa di Londra – estrae e vende dal rame al minerale di ferro, dal platino ai diamanti, in vari Paesi del mondo.
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