Nel 2025, l’oro si riconferma al centro della scena internazionale, non solo come bene rifugio per eccellenza in tempi di incertezza, ma anche come elemento chiave di attrito tra Stati. I dati più recenti del World Gold Council mostrano una domanda in crescita del 3% nel secondo trimestre dell’anno, trainata da flussi d’investimento, soprattutto in Asia, e da acquisti delle banche centrali.
Gli Etf hanno registrato afflussi netti per 170 tonnellate nel secondo trimestre, un salto significativo rispetto ai deflussi registrati nello stesso periodo del 2024. Anche la domanda fisica, rappresentata da lingotti e monete, ha avuto un’impennata: +11% su base annua, con 307 tonnellate acquistate. Spiccano gli investitori cinesi, ma anche l’India. Parallelamente, anche le banche centrali hanno continuato ad acquistare oro, sebbene a ritmi più lenti rispetto ai trimestri precedenti
L’oro si dimostra, quindi, ancora una volta un bene strategico: nei portafogli, nelle riserve valutarie, ma anche nei bilanci commerciali.
Ed è proprio qui che esplode il caso Svizzera-Stati Uniti. Secondo la stampa elvetica, l’amministrazione americana ha introdotto dazi del 39% sulle importazioni svizzere, in parte proprio per via dell’oro. Nella prima metà del 2025, quasi 500 tonnellate del metallo giallo sono state esportate dalla Svizzera verso gli Stati Uniti. Ma quell’oro, in realtà, proviene in gran parte dal mercato londinese: arriva in Svizzera solo per essere trasformato nelle raffinerie di Valcambi o Metalor, che lo adattano agli standard americani. Tuttavia, nella contabilità commerciale, tutta la transazione grava sulla Svizzera, che così risulta apparentemente in surplus verso Washington. Una distorsione che ha irritato la Casa Bianca, facendo saltare le trattative con il Consiglio federale.
Il consigliere nazionale Hans-Peter Portmann ha proposto soluzioni drastiche: smettere di esportare oro verso Paesi senza accordi commerciali, oppure restituirlo ai fornitori originali britannici affinché siano loro a spedirlo oltre oceano. Un’altra ipotesi è far passare la vendita attraverso banche, classificandola come trasferimento di capitali, e non come export.
La vicenda mostra quanto l’oro, oggi, sia ben più di un metallo prezioso. È un indicatore politico, un fattore critico nelle relazioni economiche globali. E mentre la sua domanda cresce, la sua gestione rischia di trasformarsi in un campo minato diplomatico.
In questo contesto il consiglio su Invesco physical gold (281,43 euro al 5/8; Isin IE00B579F325) resta mantieni.