In Italia il nucleare non è molto amato…

La costruzione di nuove centrali ha tempi lunghi, questo impone prudenza per l’investimento nel settore.
La costruzione di nuove centrali ha tempi lunghi, questo impone prudenza per l’investimento nel settore.
In Indonesia il governo intende aprire 20 nuovi impianti nucleari da qui al 2050 di cui il primo sviluppato dall’americana ThorCon (consegna nel 2028). Che il progetto preveda un reattore a sali fusi di torio di nuova concezione fa pensare che da qui alla realizzazione effettiva potrebbero esserci intoppi, ma ci ricorda anche che sebbene il primo reattore nucleare a fissione sia del 1942 (quindi la tecnologia base è tutt’altro che nuova), c’è un gran fermento di idee.
In Giappone dove dopo Fukushima il nucleare aveva subito un arresto si sta rivedendo la politica energetica e l’idea è che da qui al 2040 il 20% dei bisogni nipponici sia sostenuto dal nucleare (era l’8,5% nel 2023). Certo, ci sono ancora resistenze, ma la guerra in Russia ha posto comunque il tema della dipendenza dal petrolio e a Tokio se ne discute.
Anche in Europa, dal canto nostro, abbiamo forti resistenze politiche nei confronti del nucleare, ma tra i 27 paesi UE è sorto un blocco di 12 Paesi pro nucleare che è deciso a sostenerne il ruolo in tutti i dibattiti sull’energia pulita. Tra questi, ovviamente, Parigi il cui ministro della transizione ecologica avrebbe dichiarato proprio di recente “La Francia incoraggia la Commissione europea a stabilire un percorso chiaro per riflettere adeguatamente il ruolo dell’energia nucleare in tutte le sue comunicazioni e proposte legislative”. Poi le cose, al solito, non vanno molto in fretta e, infatti, pare che il governo polacco abbia dovuto rinviare di tre anni dal 2033 al 2036 la speranza che entri in funzione la sua prima centrale nucleare (due successive sarebbero previste per il 2037 e il 2038). Si cercano comunque partner strategici interessati a partecipare al progetto.
Sempre sul tema in Asia centrale gli Stati Uniti stanno prestando attenzione alle repubbliche ex sovietiche che sembrano interessate al nucleare, per contrastare l’influenza cinese e russa. D’altronde il Kazakistan il 6 ottobre ha votato un referendum in cui il 70% dei votanti (poco meno dei due terzi degli aventi diritto al voto) si è mostrata a favore del nucleare nonostante sia stato teatro di circa 500 test nucleari sovietici. Certo non parliamo di una vera democrazia per cui va tutto preso con le pinze, ma è chiara la volontà politica di stare in questa partita per un Paese che producendo oltre 20.000 tonnellate di uranio l’anno è saldamente al primo posto in questa classifica (il Canada, secondo in classifica nel 2022, produceva circa un terzo di quello che usciva dalle miniere Kazake).
Viste tutte queste prospettive, il prodotto che investe sull’uranio VanEck Uranium and Nuclear Technologies (31,765 euro al 18/12; Isin IE000M7V94E1) merita ancora un acquisto per una scommessa (rischiosa, visti i tempi lunghi di realizzazione delle nuove centrali) sul fatto che il mondo che vuole l'elettricità non possa fare a meno dell'atomo.
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