A luglio l’inflazione nel Regno Unito è tornata a crescere, toccando il 3,8% su base annua rispetto al 3,6% registrato a giugno. Si tratta del livello più alto dal gennaio 2024 e segnala come le pressioni sui prezzi siano tutt’altro che rientrate. Le attese erano per un +3,7%. L’inflazione core è salita anch’essa al 3,8%, superando così le attese di un valore stabile al 3,7%.
Tra i principali fattori che hanno alimentato questo aumento figurano i rincari nei voli, negli hotel e nei carburanti, a cui si aggiunge la dinamica del settore dei servizi: qui l’inflazione ha raggiunto il 5%, superando le stime della Bank of England e indicando un quadro di persistenza inflazionistica.
Gli impatti di questi dati sono molteplici. Prima di tutto a livello di politica monetaria: le nuove tensioni sui prezzi potrebbero rallentare i piani di riduzione dei tassi d’interesse da parte della Banca centrale, con i mercati che hanno ridotto le stime per un taglio dei tassi a novembre a circa il 33% di probabilità.
L’impatto si avverte anche a livello politico ed economico. Le imprese stanno trasferendo sui consumatori i maggiori costi legati all’aumento delle tasse e del salario minimo introdotto ad aprile. In parallelo, l’inflazione alimentare è salita al 4,9%, il massimo da febbraio 2024, aggravando il peso sul bilancio delle famiglie. Per il governo guidato da Starmer e Reeves la sfida è complessa: la promessa di rilanciare il tenore di vita dei cittadini si scontra con un contesto in cui l’inflazione resta alta e il mercato del lavoro mostra segnali di rallentamento. Una combinazione che rischia di ridurre i margini di manovra sia sul piano economico sia su quello politico.
Al momento non investiamo in Regno Unito.