Tutti questi soldi faranno da volano a un ammodernamento del Vecchio Continente, anche in campo infrastrutturale, grazie ai diversi piani di ripresa, con un occhio alla rivoluzione verde e alla transizione ecologica, senza dimenticare istruzione e ricerca e tutto ciò che aiuterà il nostro sistema produttivo.
Intendiamoci, quindi: il Recovery plan europeo non vuol dire esclusivamente infrastrutture finanziate dalla commissione europea; come abbiamo visto (AF 1399) solo parte dei soldi finirà in ponti, cavalcavia e tralicci, molto finirà in digitalizzazione, innovazione e competitività, nell'economia circolare e nel rinnovo della pubblica amministrazione, ma è comunque chiaro che il settore alla lunga ne beneficerà.
Solo in Italia nel piano nazionale di ripresa e resilienza di Mario Draghi si parla di oltre 30 miliardi di euro investiti in ferrovie, strade e porti.
L’Alta velocità è ancora in espansione e le nostre autostrade, costruite in buona parte negli anni Sessanta, risentono in alcuni casi di problemi di obsolescenza e andranno comunque riammodernate nell'ottica di una mobilità sostenibile.
Il fenomeno dell’ammodernamento infrastrutturale non è, comunque, solo italiano, ma anche europeo, e mondiale. Pensa, per esempio, agli Usa, dove l’alta velocità ad oggi è una chimera, ma dove si stanno sviluppando nuovi progetti in Texas, tra Dallas e Houston con costi nell’ordine dei 16 miliardi di dollari. E pensa a tutte le innovazioni tecnologiche ai nastri di partenza che necessiteranno di adeguamenti infrastrutturali.
Ad esempio, c’è il treno ultraveloce Hyperloop che corre nei tubi, l’auto senza guidatore che necessita di una rete informatica più capillare che mai. C’è il 5G…
Un investimento a largo spettro
Come già puoi ben intuire dagli esempi che abbiamo fatto poco fa sotto l’ampio cappello del termine “infrastrutture” si nascondono i nomi di società attive nei settori più disparati. Si va dall’edilizia che fa i ponti, all’industria metalmeccanica che fa i sistemi ferroviari, alle società telecom che gestiscono i cavi internet, a quelle energetiche che ti portano il gas in casa.
Non ti deve, pertanto, stupire che, storicamente, gli indici del settore infrastrutture si siano mossi in linea con quelli delle Borse mondiali, che a loro volta sono influenzati dalla crescita economica generale dei diversi Paesi. A livello di investimento ne hanno grosso modo gli stessi rischi e benefici, ma con qualche differenza. In primo luogo, la componente ciclica è minore: gli investimenti in infrastrutture lavorano su commesse pluriennali, per cui non sono soggetti agli alti e bassi dei consumi come il settore auto o il settore viaggi.
Il fatto che si lavori su commesse pubbliche rende in alcuni casi prevedibili le entrate future abbassando il rischio. C’è però, spesso un consistente rischio politico (pensa alla possibilità di indagini per corruzione che bloccano i lavori) e poi c’è il rischio dovuto al debito.
Più è elevato il capitale che è necessario investire per costruire infrastrutture, più è probabile che siano alti i debiti delle società e questo porta a un maggior rischio in momenti di rialzo dei tassi come quello attuale Infine, sempre a marcare la differenza con un investimento generico nei listini mondiali, sono spesso assenti dagli indici infrastrutturali le società tecnologiche che negli ultimi anni hanno guidato il boom dei mercati azionari (pensa ad Amazon, Facebook, Alphabet…).
Chi avesse investito in infrastrutture negli scorsi anni si sarebbe perso parte di questa forte crescita di cui ha, invece, goduto chi ha puntato sui listini internazionali. Alla fine, però, siamo comunque positivi sul futuro. Abbiamo appena rivisto la crescita mondiale al rialzo (da 4,6% a 5,5% nel 2021, da 3,5% a 4,5% nel 2022 e da 3% a 3,1% nel 2023) e una scommessa sul settore che approfitterà delle nuove risorse messe in campo dagli Stati ci sta.
Ti abbiamo consigliato due Etf
In AF 1399 ti abbiamo consigliato due Etf, entrambi quotati a Piazza Affari, te ne parliamo qui.
Per investire in infrastrutture ci sono anche gli Eltif? Ahinoi, no!
La domanda è lecita, anche se la risposta rischia di essere deludente. Innanzitutto, vediamo cosa sono gli Eltif e perché questa domanda è giustificata. Di questi prodotti ti abbiamo parlato alcuni anni fa (vedi Fondi Comuni n° 219 e 230).
Eltif è un acronimo e sta per European long term investment fund. Come dice il nome si tratta, dunque, di fondi che investono a lungo termine. In altri termini sono strumenti pensati per permettere ai risparmiatori di investire anche in attività economiche che richiedono diverso tempo per portare i loro frutti e da cui, quindi non è possibile disinvestire prima di una certa data.
Al costo (peraltro non da poco) di avere in mano un investimento illiquido, il comune risparmiatore può accedere tramite gli Eltif ad ambiti di investimento che altrimenti gli sarebbero preclusi.
Qual è un esempio di questi ambiti di investimento? Esatto, hai pensato bene, l’investimento in infrastrutture che, non a caso, avevamo identificato in Fondi Comuni come il destinatario ideale degli Eltif.
La storia sta andando in direzione diversa
La storia, purtroppo, non è andata più di tanto nella direzione che avevamo immaginato allora. Innanzitutto, in Italia ci è voluto un po’ di tempo prima che fosse dato il via libera a questi investimenti stabilendo gli opportuni paletti per proteggere i risparmiatori (per esempio l’importo minimo relativamente elevato a 10.000 euro, il fatto che se il patrimonio del risparmiatore non supera i 500.000 euro il suo investimento in Eltif debba essere limitato a un massimo del 10% delle sue sostanze, e via dicendo).
In secondo luogo, il mercato spesso ha pensato più a utilizzare questi strumenti per investimenti di tipo Pir (per esempio Azimut ha lanciato il fondo Azimut Eltif Alicrowd che permette di investire nel settore dell’equity crowdfunding) che per investimenti in infrastrutture. Ma come funzionano nella pratica questi Eltif? Qui trovi l’esempio di un prodotto che è attualmente in collocamento.