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Il ruolo delle Banche centrali

Data di pubblicazione  28 ottobre 2021
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Le Banche centrali hanno giocato un ruolo fondamentale durante i periodi di crisi. Ora si trovano a dover gestire una situazione inattesa e ancora una volta complicata.

Da poco più di un decennio il ruolo delle principali banche centrali è chiaro: è necessario a tutti i costi stimolare la crescita in quelle economie in cui arranca o che ne hanno bisogno per uscire da una situazione di crisi o stagnazione. Per fare questo, la ricetta è stata quella di abbassare i tassi di interesse, portandoli anche sottozero e, in molti casi, affiancandogli acquisti di titoli. Tuttavia, in un momento in cui l'inflazione sta diventando più pressante, il loro compito sta diventando più complicato.

BALUARDI DELLE ECONOMIE IN TEMPI DI CRISI
Dalla crisi finanziaria del 2008-2009, le Banche centrali hanno avuto un ruolo centrale per le varie economie mondiali. Dato che molti Paesi non hanno più spazi di manovra per affrontare crisi economiche con la propria politica fiscale, sono proprio le principali Banche centrali che sii sono fatte carico della maggior parte dello sforzo per stimolare la ripresa economica. Il loro obiettivo è stato quindi quello di garantire che i mercati disponessero di liquidità sufficiente, nonché di un accesso abbondante ed a costi contenuti al credito. Lo hanno fatto abbassando i tassi di interesse a livelli mai visti prima. E alcuni di loro sono andati molto oltre, con ampi programmi di acquisto di attività finanziarie che hanno permesso ai governi di indebitarsi a basso costo, nonostante gli alti livelli di debito pubblico. E se già era importante dopo la crisi finanziaria, il loro ruolo lo è diventato ancora di più con la pandemia. Lo sforzo per garantire che la crisi economica dovuta al virus non fosse l'inizio di una nuova depressione è stato enorme, spingendo le banche centrali a livelli storicamente eccezionali di intervento.

L’INIZIO DI UNA NUOVA FASE
È proprio questo incrollabile sostegno all'economia durante la pandemia che ora sta costringendo le Banche centrali a inasprire le loro politiche. Poiché la maggior parte delle famiglie ha risparmiato durante i mesi di restrizioni, ora hanno i mezzi per consumare. Alcuni governi, come quello americano, hanno dato buttato benzina sul fuoco, inviando assegni alle famiglie. A tutto questo si aggiunge un'ondata di investimenti per aggiornare le infrastrutture e/o dare vita alla transizione verde. Il mondo sta così affrontando una forte crescita della domanda, in un momento in cui l'offerta sta solo gradualmente aumentando. Questo ha inevitabilmente spinto l'inflazione verso livelli che non si vedevano da anni. Percepita come transitoria in un primo momento, questa inflazione sta gradualmente diventando duratura e sta costringendo le Banche centrali a ripensare le loro strategie. Dovranno riuscire a rallentare una domanda che da anni cercano di stimolare senza però nuocere all'economia – e ai mercati finanziari.

STRATEGIE DIVERGENTI
Di fronte a tali sfide, le Banche centrali stanno adottando strategie diverse. C’è chi è preoccupato per la svolta inflazionistica e prevede di aumentare i tassi di interesse il prima possibile. Tra questi c’è la Banca d'Inghilterra, che affronta gli stessi problemi della mancanza di materiali come altri Paesi, ma tali problemi sono resi ancora più importanti dal fatto che il Paese ha scelto di separarsi dal suo principale partner commerciale, l'Unione Europea. L'inflazione dovrebbe essere più persistente che altrove e per i tassi di interesse si prevedono rialzi, specialmente sulle scadenze più brevi.
Un fenomeno che si può riscontrare negli Stati Uniti, nonostante la posizione più cauta adottata dalla Fed, la Banca centrale Usa. Un primo rialzo dei tassi non dovrebbe avvenire prima della seconda metà del 2022 e la maggior parte della normalizzazione monetaria dovrebbe avvenire nel 2023. Fino ad allora, la Fed si limiterà a ridurre i suoi acquisti di debito ogni mese – che dovrebbero cessare del tutto entro la metà del 2022 – tenendo d'occhio i mercati, al fine di evitare forti cali.
Per quanto riguarda la Banca centrale europea, continuerà a concentrarsi sulla crescita. Vuole ridefinire i suoi obiettivi di stabilità dei prezzi (inflazione al 2,0% nel medio termine), un livello che ha faticato a raggiungere dopo la crisi finanziaria. Ma ora, con l'inflazione al 3,4% nell'eurozona, deve affrontare un problema raro. Se è certo che ridefinirà i suoi acquisti di debito nel prossimo futuro, qualsiasi aumento dei tassi sembra improbabile prima del 2023.

Tassi zona euro e inflazione

IL GIUSTO EQUILIBRIO DA TROVARE
I rischi associati alla nuova fase della politica monetaria sono elevati. Chi, come la Banca centrale europea, continua a favorire la crescita sarà accusato, se necessario, di lasciar aumentare l'inflazione, rafforzando ulteriormente la tendenza all'erosione del risparmio, che è ben consolidata da diversi anni.
D'altra parte, coloro che si ritirano troppo rapidamente gli stimoli monetari e/o aumentano i loro tassi troppo rapidamente per controllare l'inflazione rischiano di causare panico nei mercati. E questo vale sia per il mercato azionario sia per quello obbligazionario - questi ultimi hanno ancora livelli di valutazione elevati, sinonimo di scenari favorevoli per l'economia globale: i mercati azionari scommettono ancora su una crescita solida e i mercati obbligazionari continuano (nonostante il recente rialzo) di accontentarsi di tassi di interesse molto bassi per finanziare i debiti di Stati e società, dal momento che si fidano delle Banche centrali sulla questione di contenere l'inflazione. Le banche centrali saranno in grado di accontentare tutti? Non è così sicuro e, dato questo problema spinoso, il consiglio per chi investe è continuare a diversificare il suo portafoglio. Il consiglio pratico è dunque quello di replicare uno dei nostri tre portafogli, che sono studiati e realizzati proprio per tenere conto di tutti questi fattori.

INFLAZIONE: CHI AVRA' RAGIONE?
Ad eccezione del Regno Unito, la cui catena di approvvigionamento continuerà ad essere impattata dalla Brexit e dall'imposizione di nuove barriere commerciali, che renderanno i prodotti più costosi sulle isole britanniche, gli altri Paesi dovranno prima o poi tornare alla normalità. Tuttavia, non bisogna commettere errori: altri fattori, come i capricci della transizione energetica, rischiano di avere un impatto sui prezzi al consumo a medio e lungo termine. In primo luogo perché avranno un impatto sui prezzi dell'energia in Europa e negli Stati Uniti. Inoltre, altri Paesi, come la Cina, stanno via via sempre più interessandosi alla transizione energetica e poiché quest’ultima ha un prezzo, non saranno più in grado di produrre a buon mercato come in passato. È quindi quasi una certezza che in Occidente le Banche centrali raggiungeranno più facilmente i loro obiettivi di inflazione.