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Giappone: la standardizzazione prende forma

La situazione si stabilizza

La situazione si stabilizza

Data di pubblicazione 04 gennaio 2022
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La situazione si stabilizza

La situazione si stabilizza

Gli ultimi indicatori pubblicati in Giappone mostrano un graduale miglioramento della situazione economica.

Da un lato, c'è l'aumento annuo dell'1,9% delle vendite al dettaglio a novembre, una chiara accelerazione dallo 0,9% di ottobre. Poi c'è l'aumento della produzione industriale del 7,2% rispetto a ottobre, segno che la maggior parte delle difficoltà della filiera produttiva sono ormai alle spalle. Infine, l'inflazione core, la misura preferita dalla Banca del Giappone, è aumentata ulteriormente, raggiungendo lo 0,8% a novembre, eguagliando un livello che il Paese non ha sperimentato dall'inizio del 2018. Come altrove, l'aumento dei prezzi dell'energia e il loro impatto sull'economia in generale ha molto a che fare con questo: l'inflazione giapponese aveva iniziato il 2021 a -0,3%. Ma a differenza dell'Occidente, questa cifra non è affatto preoccupante, al contrario. Da diversi anni le autorità monetarie di Tokyo cercano, senza molto successo, di far uscire definitivamente il Paese dalla deflazione che periodicamente lo colpisce e di muoversi verso un aumento annuo dei prezzi al consumo dell'ordine del 2%, simile agli obiettivi della Banca Centrale Europea o della Federal Reserve statunitense. Le cifre attuali lo avvicinano un po' di più a questi obiettivi, a lungo illusori, ma non dovrebbero far cambiare nulla nella politica monetaria giapponese. E soprattutto non c’è da aspettarsi un’inflazione elevata come quella europea od americana – vedi riquadro. Dopo un 2021 segnato da forti restrizioni, e ripetuti "stati di emergenza", l'economia giapponese è quindi sulla strada della normalizzazione, anche se non è impossibile che la variante Omicron, nota ormai da diverse settimane, arrivi a sparigliare le carte.

La spiegazione del perché l’inflazione rimane bassa in Giappone può essere ricondotta essenzialmente a due categorie di motivi. La prima è legata a fattori contingenti, come il forte calo delle tariffe telefoniche e ai tempi, lunghi, con cui il rialzo dei prezzi dell’energia si riversa sulle bollette. Dunque, anche in Giappone è previsto un aumento dell’inflazione. Ma attenzione: il carovita giapponese non è destinato ad aumentare come successo in altri Paesi, più in generale in tutto il resto del mondo. Perché? Dipende dalla seconda categoria di motivazioni a cui accennavamo in precedenza, che sono essenzialmente legate a peculiarità del sistema giapponese, aspetti strutturali e non legati a situazioni temporanee. Essendo insiti nella struttura stessa nipponica, sono anche i motivi per cui spesso e volentieri per il Giappone si parla di bassa inflazione strutturale, se non addirittura di deflazione strutturale. Ma quali sono questi motivi? Per prima cosa le pressioni sui costi sono inferiori nel settore manifatturiero nipponico. Inoltre, in Giappone i salari tendono a non aumentare anche se c’è mancanza di lavoratori. I prezzi alla produzione tendono quindi ad aumentare di meno. A questo poi bisogna aggiungere che le aziende giapponesi sono tradizionalmente riluttanti a scaricare l’aumento dei costi sui prezzi finali, cioè alzare i prezzi dei prodotti venduti -anche a fronte di dover ridurre la loro redditività. Lo stesso governatore della Bank of Japan a novembre si è detto deluso dal fatto che l’inflazione non fosse più alta, trovando come motivazione proprio l’atteggiamento delle società, “colpevoli”, secondo lui, di aver assorbito costi più elevati senza trasferirli. Anche la questione salariale è un problema. Nonostante la forza lavoro diventi sempre minore, i salari non crescono. Perché? Qui la motivazione va ricercata nei sindacati, che non sono stati in grado di garantire ai lavoratori importanti aumenti salari. Ma questa mancanza potrebbe derivare dagli stessi lavoratori. Quest’ultimi potrebbero non spingere troppo nelle richieste per la paura di diventare troppo costosi ed essere sostituiti così da lavoratori part-time o con contratti a tempo determinato.Tutto questo porta dunque a un minor impatto sui prezzi alla produzione, che difficilmente vengono poi scaricati sull’utente/consumatore finale. E questo già contribuisce a tenere bassa l’inflazione. Inoltre, l’invecchiamento e la contrazione della popolazione del Giappone contribuiscono alla carenza cronica di domanda dei consumatori, che incoraggia le persone a rimanere caute. Una carenza di domanda di beni, in combinazione con quanto vista in precedenza, è un altro effetto che rende l’aumento dell’inflazione nipponico più contenuto rispetto ad Europa o Stati Uniti.

A buon mercato e poco volatile, il mercato azionario giapponese è presente in tutti i nostri portafogli, come diversificazione. Per quanto riguarda il titolo di Stato giapponese, offre rendimenti vicini allo zero (appena lo 0,06% per il 10 anni) che non entusiasmano gli investitori. Tuttavia, data l'inflazione molto bassa nel Paese, i tassi reali offerti sono molto meno negativi di quelli offerti nell'area dell'euro o negli Stati Uniti. A questo si aggiunge uno yen che ora è ampiamente sottovalutato rispetto all'euro e che prima o poi dovrebbe apprezzarsi rispetto alla nostra valuta. È attraverso questi due fattori che anche un investimento in obbligazioni giapponesi è interessante. Inoltre, i bond giapponesi sono anche poco volatili e sono dunque presenti in tutti i nostri portafogli fino al 10%.