A giugno, per l’undicesimo mese consecutivo, il Giappone ha registrato un deficit commerciale. Eppure le esportazioni sono dinamiche, a un livello storicamente elevato. Il problema è che le importazioni sono in forte aumento (+46,1% rispetto all’anno scorso) e hanno raggiunto il loro massimo storico. Ciò è dovuto alla forte domanda interna, all'aumento dei prezzi dell'energia sui mercati internazionali e a uno yen debole: la valuta giapponese è infatti scesa del 25% rispetto al dollaro negli ultimi dodici mesi. Ciò aumenta in automatico il costo delle importazioni.
La caduta dello yen ha anche spinto l'inflazione (2,4% a giugno dopo il 2,5% a maggio) a massimi che non si vedevano da più di 7 anni. la Banca Centrale del Giappone non intende però cambiare rotta - ha confermato la propria politica monetaria espansiva, annunciando di aver lasciato i tassi di interesse a -0,1% e l’obiettivo di mantenere i rendimenti dei titoli di Stato giapponesi attorno allo zero. In Giappone hanno preso atto che l’inflazione oggi è riuscita a raggiungere e superare il 2% solo per il costo dei prodotti energetici e potrà salire ancora entro fine anno. Finita però la spinta derivante dai prezzi dell’energia, l’inflazione tornerà a calare e quindi l’obiettivo del 2% stabile nel medio-lungo termine ad oggi iper il Giappone non è raggiunto.
Questa politica monetaria indebolisce il valore della valuta, fa precipitare la bilancia commerciale in rosso e stimola le pressioni inflazionistiche. La debolezza dello yen rafforza però l'attrattiva delle attività giapponesi. Le azioni fanno parte delle nostre strategie, così come le obbligazioni in yen, che riducono utilmente il rischio complessivo del portafoglio, aumentando al contempo la ttese di un interessante guadagno a medio termine del tasso di cambio.