Rassicurati dal forte calo dei prezzi del petrolio – il barile è attualmente scambiato a circa 87 USD contro oltre 120 USD di metà giugno – gli investitori volevano credere che la tendenza al ribasso dell'inflazione statunitense sarebbe continuata ad agosto. Tuttavia, alla fine sono rimasti piuttosto delusi. Rispetto ad un anno fa, il carovita ha rallentato al'8,3% contro l'8,5% di luglio, mentre le attese prevedevano 8,1%. Peggio ancora è andata per l’inflazione di fondo – che esclude l'energia e il cibo – aumentata del 6,3%, pari al più alto in quattro decenni, fissato a marzo, e in accelerazione dal 5,9% del mese precedente – le attese erano fissate al 6,1%.
Questo la dice lunga sull'inflazione che ormai è ben ancorata e colpisce beni essenziali, come il cibo, la cui crescita annua raggiunge ormai l'11,4% e addirittura il 13,5% se escludiamo i prezzi dei ristoranti ma anche l'energia (+23,8%), l'elettricità (+15,8%), l'edilizia abitativa (6,2%), e la sanità (+5,6%). L'aumento dei prezzi al consumo è quindi diffuso e fa molto male, soprattutto perché, allo stesso tempo, i salari reali degli americani perdono il 2,8% in un anno e anche le ore lavorate diminuiscono. In totale la perdita in termini di salari ha raggiunto il 3,4%.
In una situazione del genere, caratterizzata dall'impennata dei prezzi, dal calo dei salari e dall'aumento degli oneri del debito con l'aumento dei tassi di interesse, le famiglie americane hanno molto di cui preoccuparsi, così come l'economia globale. Di fronte all'inevitabile recessione europea, alle battute d'arresto della Cina e ai Paesi emergenti che sono stati gravemente colpiti dall'aumento dei tassi di interesse, gli Stati Uniti hanno assunto una posizione di ultimo baluardo che potrebbe consentire all'economia mondiale di evitare una recessione. Tuttavia, di fronte a tali dati sull'inflazione, la Federal Reserve statunitense avrà poca scelta e sarà costretta ad aumentare ancora una volta i tassi. Ciò aumenta notevolmente le possibilità di un atterraggio di emergenza dell'economia americana, che non aiuterebbe ad avere un impatto sul resto del pianeta.
Tuttavia, continuiamo a investire negli Stati Uniti, sia nel mercato azionario che in quello obbligazionario. Il motivo è semplice: se gli Stati Uniti sono chiaramente a rischio di recessione, hanno le risorse (energetiche, tecnologiche, finanziarie) per riprendersi il più rapidamente possibile, cosa che non è necessariamente il caso altrove. Per cui, bond ed azioni, a seconda del profilo in cui ti riconosci, rimangono all’interno delle nostre strategie di investimento.