In Giappone l’inflazione è stata superiore alle attese ad agosto, dato che i prezzi al consumo, senza contare gli alimentari freschi, sono cresciuti del 3,1%, come avvenuto a luglio, mentre le attese erano per un 3%. Questo dato, arrivato proprio poco prima che si riunisse la Bank of Japan, non ha però smosso la Banca centrale giapponese.
I tassi sono infatti stati lasciati a -0,1% e non è stato modificato neppure il controllo dei rendimenti dei titoli di Stato. Inoltre, le parole usate dal governatore della Banca centrale non lasciano intravvedere un possibile cambiamento nella politica monetaria. Infatti, il Giappone non si trova ancora in una situazione in cui l'inflazione è accompagnata da una crescita dei salari – un’inflazione, dunque, sostenibile e stabile – e questo scenario non è neppure all’orizzonte.
In un momento in cui la Fed ha mostrato l’intenzione di alzare i tassi ancora una volta e poi tenerli a lunga alti, questa posizione rende la politica monetaria giapponese più accomodante rispetto alla Fed, ma non solo. Questo comporta inevitabili pressioni sullo yen.
La Banca internazionali per i regolamenti (BIS) ha calcolato il valore dello yen nei confronti di un gruppo di 5 valute – scelte tra i maggiori partner del Giappone, correggendolo per l’inflazione – è il cosiddetto tasso di cambio effettivo. Secondo questo calcolo lo yen è ai minimi dal 1970. Questa debolezza della valuta nipponica oggi è un’opportunità perché rende gli investimenti in yen convenienti, oltre a sostenere la crescita giapponese spingendo le esportazioni. Questo afflusso di capitali per via di attività oggi convenienti, al quale si aggiungerà in futuro un ritorno a tassi positivi, quando le altre Banche inizieranno a tagliare – riducendo così il differenziale tra i tassi d’interesse – sono motivi che potranno sostenere le future quotazioni dello yen.
Per questo, per quanto riguarda gli investimenti sul Giappone è tutto confermato.