La Fed ha una misura preferita per l’inflazione: l’indice dei prezzi delle spese per consumi personali. È un indicatore del carovita che la Banca centrale Usa segue da molto vicino, perché ancor più significativo non solo dell’indice generale dei prezzi, ma anche della sua versione “core” – cioè l’inflazione di fondo.
L’indice dei prezzi delle spese per consumi personali principali, quello cioè che esclude le componenti volatili di cibo ed energia, è aumentato a febbraio dello 0,3% rispetto al mese precedente, in rallentamento dallo 0,5% di gennaio. Si tratta di una tregua dal rialzo dei prezzi negli Usa, che potrebbe far tirare un sospiro di sollievo alla Fed, ma non sarà ancora sufficiente per convincerla a tagliare i tassi.
Dopo tutto, pressioni sui prezzi ci sono ancora, visto che la spesa dei consumatori corretta per l’inflazione è salita dello 0,4% a febbraio, ben oltre lo 0,1% di gennaio. Insomma, grazie agli aumenti salariali, il potere d’acquisto dei consumatori americani rimane forte. A questo aggiungiamo anche un mercato del lavoro robusto e il contesto non è ancora quello che consente di dire che non ci sono più rischi per l’inflazione. Come detto qui, ancora si scommette su un taglio dei tassi tra giugno e luglio, anche se molto dipenderà dai dati che usciranno nei prossimi mesi.